Ogni anno, in questa data, tanto si scrive, troppo si ripete. Che oltre allo sterminio del popolo ebraico sia avvenuta la decimazione della popolazione rom e sinti europea, è un fatto che ha – finalmente – acquisito pari dignità storica. Più di 500.000 persone annientate (gli abitanti di una città come Firenze), tanto che il popolo romaní chiama questo etnocidio “porrajmos”: il Grande Divoramento. Ciò ovviamente non toglie che gli “zingari” riscuotano, durante tutto il resto dell’anno, tuttora meno simpatie rispetto ai loro compagni di disgrazia.
Ma cosa volete che sia: un conto è la memoria di una tragedia, un conto è l’agire quotidiano.
C’è però un dettaglio, che invece non molti conoscono e che potrebbe stupire. Ovvero che gli “zingari”, per i generali e scienziati nazisti, fossero un patrimonio preziosissimo. Da preservare. Al punto da rinchiuderli in un vere e proprie riserve.
Alla base, la convinzione di studiosi della razza come Robert Ritter (psichiatra infantile e neurologo a capo del Centro di ricerche per l’Igiene e la Razza), che trattandosi di una popolazione di origine indoeuropea, e dunque ariana, il ceppo zingaro fosse l’unico a “contenere” il pacchetto genetico originario della razza tedesca.
A contaminarlo, un gene: il Wandergen (“gene del nomadismo”) insito, anche questo, negli “zingari”. Questo “istinto genetico” li aveva portati, nei secoli, a confondersi con i non ariani, facendo degenerare progressivamente la “sacra” purezza. Le mescolanze avvenute durante il secolare nomadismo dall’India, avevano perso i caratteri originali della razza, deviandola irrimediabilmente. Gli “incroci indesiderabili” andavano eliminati o lasciati “esaurire”: la sterilizzazione per tutti gli Zigeuner sopra i 12 anni fu una delle conseguenti misure raccomandate – e in parte effettivamente eseguite. (...)
*** Ilaria GIUPPONI, gionralista, Perché agli scienziati nazisti piaceva il codice genetico degli zingari, 'Left', 27 gennaio 2016
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