Ti ho messo lo zucchero nel tè.
È stato un gesto così, che mi è proprio uscito dalle mani, come un potere. Credo di aver approfittato che tu fossi voltato a guardare il mare. Ho avvicinato la tua tazza fumante sul tavolo e l’ho edulcorata. Lo zucchero grosso d’industria è crollato giù con un tonfo e ha creato un vortice. Tu hai nuotato un po’ tra lo stupore e il divertimento. Allora io ho capito che, forse, si stava esagerando, forse si stava entrando troppo, forse si stava passando il limite, forse eravamo qualcosa di più, forse io avrei iniziato a metterti lo zucchero dappertutto: nel tè, nei libri, nella bocca, sulle dita.
E, un giorno, non molto lontano, tu mi avresti chiesto di smetterla di mettere lo zucchero dappertutto, che la questione, da dolce, stava diventando stucchevole e non se ne poteva più di appiccicare sempre.
Allora, io avrei preso tutto lo zucchero del mondo, le bustine, le zollette, i pacchi, le piantagioni e l’avrei portato via lontano, dove tu non potevi vederlo, dove non avrei avuto più la tentazione di usarlo per te, dove non si sarebbe appiccicato alla tua vita.
«Che fine ha fatto lo zucchero?», avresti chiesto, una volta, senza malizia.
«L’ho reso innocuo.», avrei risposto io.
Questo pensavo, quando hai allungato la mano, mi hai toccato la guancia e mi hai chiesto: «Ora posso metterlo io lo zucchero nel tuo tè?»
Il mare ha urlato qualcosa, s’è fatto tutto spruzzi, poi è tornato al suo sale.
*** Chiara BOTTINI, project manager, blogger, social media specialist, formatrice, scrittrice, Questione di dolcezza, 'medium', 16 febbraio 2016, qui
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