Julia Dobrovolskaja è una linguista, traduttrice e interprete russa, ora di cittadinanza italiana, di quasi 98 anni.
Confessa oggi ad Antonio Gnoli, in una delle sue interviste domenicali su 'la Repubblica' (della serie 'straparlando'), che sono delle vere chicche imperdibili, una più gustosa dell'altra.
«Tra le numerose cose che Stalin aveva imposto c'era anche la felicità forzosa. Ricordo che da bambina eravamo costretti a ridere, e mostrare una spensieratezza che nessuno possedeva realmente. Ma così andavano le cose. In un crescendo di fame e di morte.»
Il pensiero mi corre in automatico.
E subito mi ritrovo in mente certa consulenza nostrana, che vive di slide sul 'pensiero positivo' (per giunta malinteso, anche perché maltradotto da guru più o meno autorevoli di matrice americanoide).
O certi manager sedicenti 'vincenti', con il sorriso finto appiccicato sulle labbra da quando hanno frequentato qualche seminario sulle dieci mosse per avere successo.
O qualche politicante con la retorica del cambiamento, che mima il linguaggio vuoto e fintamente appassionato di troppo managerialismo deteriore e chiama 'gufi', 'disfattisti' e 'tafazzisti' tutti quelli che non sorridono come lui e, soprattutto, non sorridono 'con' lui.
Non lo sanno. Ma c'è un precedente storico.
La 'felicità coatta' non l'hanno inventata loro.
Certo, mancano i carri armati e la Siberia. Per fortuna.
Anche se oggi abbiamo inventato modi molto più soft (e dunque almeno altrettanto hard) per imporre, con il 'pensiero unico', il 'sorriso unico'.
*** Massimo Ferrario, per 'Mixtura'
Massimo, a proposito di pensiero unico ti suggerisco questo video http://youtu.be/TRNEMm5eilw dove Diego Fusaro (filosofo) spiega chiaramente i rischi e le vie d'uscita da questa ideologia dominante.
RispondiEliminaGrazie, Bruno.
RispondiEliminaDiego Fusaro è una giovane voce critica che mi pare vada seguita con attenzione.
Il video che segnali è uno stimolo utile per capire dominanza, e pericolosità, del 'pensiero unico': che tende alla globalizzazione del mondo intero partendo da una radice occidentale di onnipotenza.
Il punto, come sempre, è superare il taglio 'destruens' dell'analisi (cosa che in genere ogni 'critico', se appunto è tale e non è un vuoto ripetitore di slogan semplicemente 'contro', sa fare) e passare alla fase, anche solo di pensiero, 'costruens'. Perché qui finora cadiamo tutti: anche se non siamo gli asini della nota espressione popolare.
Comunque, ripeto sempre che, se la consapevolezza non è sufficiente, è assolutamente indispensabile. E va coltivata.
Per non finire irretiti nel dolce e suadente conformismo che nega le ideologie (accusando chi non si fa irretire di essere appunto un residuo ideologico) e vende il suo ideologismo, rigorosamente nascosto e negato, per pragmatismo e realismo. (Mf)