sabato 24 gennaio 2015

#VIDEO #IMPRESA & SOCIETA' / Gerontocrazia



Sandro CATANI, 1947, 
consulente di sviluppo organizzativo, esperto di executive compensation, saggista
Gerontocrazia, intervista di Mauro Cereda
video, 5min11


Prendendo spunto dal libro da poco pubblicato, Sandro Catani anticipa qui un'analisi critica, assai dura e provocatoria, dello stato attuale del ceto dirigente: nella politica, nelle imprese, nella società in generale.
In parte la politica si è rinnovata, con giovani quarantenni che hanno sostituito vecchi leader (Renzi, Alfano, Salvini).
Nessun rinnovamento, invece, si è visto nel grande ceto burocratico. 

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Libro di riferimento:
* Sandro Catani, Gerontocrazia. Il sistema economico che paraliizza l'Italia, Garzanti, 2014.

Un estratto dal libro è stato pubblicato da 'Il Fatto Quotidiano'. 
Lo riporto qui sotto. (mf)

«Il primo a utilizzare il termine gerontocrazia in epoca moderna fu un politico ginevrino, Jean James Fazy, vicino al nostro Giuseppe Mazzini, che nel 1828 scrisse il pamphlet De la Gerontocratie, ou abus de la sagesse des vieillards dans le gouvernement de la France. Fazy condannava per le sue posizioni conservatrici la classe rivoluzionaria del 1789 salita poi al potere. Scriveva: «Che straordinario istinto di dominazione muove dunque la turbolenta generazione dell’89. Essa ha cominciato con l’interdire i propri padri, e finisce con il diseredare i propri figli. Il risultato è una Francia concentrata e rimpicciolita in sette-ottomila individui eleggibili, ma asmatici, gottosi, paralitici, arteriosclerotici». 
Nel suo libro I padroni del vapore, Ernesto Rossi ha lasciato una lucida analisi sulla tendenza della borghesia imprenditoriale italiana ad appoggiare il potere politico del momento, in quel caso il fascismo, salvo metterlo tardivamente in discussione e declinare la responsabilità di questa scelta. 
Oggi quanti sono i “padroni”e quanti “vapori” abbiamo? Non molti, purtroppo. La riduzione ha un impatto sulla business community che vive intorno all’impresa italiana, e che con essa prospera o si impoverisce. Una delle conseguenze della vendita dei nostri marchi a mani estere è l’accentramento delle tecnostrutture e delle funzioni di supporto nel quartier generale degli acquirenti. La concentrazione del settore bancario, i patti di sindacato, il grado di controllo dell’economia pubblica, l’assenza di public companies tra le aziende quotate, un’economia stagnante, sono tutti elementi che hanno favorito la concentrazione del potere in poche mani. In compenso il potere è diventato più visibile. Chi comanda nelle prime 20 banche italiane? E nelle prime 80 aziende quotate? Chi è a capo delle grandi aziende famigliari? E chi delle aziende pubbliche?
Il risultato della disamina è che in Italia ci sono circa 400 persone che hanno il potere per influenzare le questioni economiche e politiche italiane: possono indirizzare le decisioni strategiche. È il perimetro di un’oligarchia in cui è alto il grado di conoscenza interpersonale: le persone hanno luoghi, occasioni di business e sociali per frequentarsi. Generalmente si danno del tu e gli incontri seguono un calendario ben preciso: il Meeting Ambrosetti a Cernobbio, la Relazione del Governatore della Banca d’Italia, l’Assemblea della Confindustria, le riunioni dell’Aspen Institute, il World Economic Forum a Davos in Svizzera, qualche apparizione a Capri per il convegno dei Giovani Imprenditori, il Meeting di Rimini. 
L’analisi delle 400 biografie facilita la conoscenza dell’élite economica: l’età media, il genere, l’area geografica di nascita, le competenze possedute, gli incarichi ricoperti da ciascun individuo. Ho escluso dal perimetro dell’analisi i vertici delle multinazionali e in generale delle aziende straniere perché i loro comportamenti sono guidati da logiche e modelli culturali differenti. Infatti la durata della loro vita attiva sarà regolata dalle politiche, restrittive, della casa madre e del network di appartenenza. 
Naturalmente la Corporate Italia si mescola e interagisce con gli attori della business community più ampia. L’età media è di 65,84 anni, ben superiore all’età media di 43,5 della popolazione adulta italiana. Il calcolo dell’età mediana, eliminando le code estreme più giovani e più anziane della distribuzione, porta a un numero non dissimile, 65 anni, segno di una relativa omogeneità. Persino la politica è più giovane dell’élite economica. Il premier, Matteo Renzi, ha 39 anni, il capo del Nuovo Centrodestra, Angelino Alfano, 43, il segretario della Lega, Matteo Salvini, 40, l’ex premier Enrico Letta, 47. I CEO delle aziende Fortune, le più grandi del pianeta, nel 2013 avevano un’età media di 55 anni. Nello stesso anno le aziende più importanti della Borsa di Londra (le FTSE 250) dichiaravano per i loro CEO un’età media di 52 anni. In linea con i nostri dati, lo studio annuale sulla governance di Assonime-Emittenti Titoli 2013 conferma che gli amministratori esecutivi, quelli con deleghe per la gestione, delle aziende quotate italiane hanno un’età media di 59 anni e sono più anziani degli omologhi di altri mercati. Gli effetti prolungati del capitalismo relazionale (un ossimoro!) moltiplicato per il familismo di controllo hanno inquinato i nostri processi economici e prodotto danni almeno pari a quelli causati dal contesto infrastrutturale arretrato in cui operano le imprese e dalle mancate scelte del ceto politico. 
(Sandro CATANI, da Dentiere al potere, 400 vecchi dominano l’economia italiana, ‘Il Fatto Quotidiano’, 15 maggio 2014)

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