martedì 27 gennaio 2015

#VIDEO #POLITICA # RITAGLI / Antonio Gramsci: "Odio gli indifferenti"




Diego FUSARO, 1983, filosofo e saggista 
ricercatore al'università San Raffaele Vita-Salute
Intervento su: Antonio Gramsci, Odio gli indifferenti, 
Ritratti d'autore, Misano Adriatico, 7 marzo 2014
video, 1h44min23

In apertura (per una decina di minuti), viene presentato il progetto di Ritratti d'autore di cui questo intervento è il primo della serie.
E l'ultima mezz'ora del video registra un breve scambio con il pubblico.
L'intervento di Diego Fusaro è dunque di un'ora scarsa.

Per chi voglia ricordare, o conoscere, almeno in parte il cuore centrale del pensiero di Antonio Gramsci (1891-1937, politico, filosofo, comunista, incarcerato dal fascismo e morto in seguito alla prigionia), la relazione di Diego Fusaro è quanto mai stimolante.
Il testo da cui prende avvio il giovane filosofo, sempre dissonante rispetto al coro del pensiero dominante, è tratto da 'La città futura', dell'11 febbraio 1917, intitolato Odio gli indifferenti (l'ho riportato qui sotto). 
Si tratta di un discorso lungo, ma chiaro, appassionato, facilmente seguibile, ben argomentato.
Che viene riferito costantemente all'oggi e all'accettazione supina e fatalistica con cui il presente, e i valori oggi prevalenti incarnati nel modello liberal-capitalista, si pone addirittura come stato ovvio: naturale e oggettivo.
Il linguaggio è ricco e suggestivo. 
Unico limite, a mio avviso, in alcuni momenti una certa ridondanza: che se precisa meglio concetti, valori e critiche scolpendo talune convinzioni 'forti' sia di Gramsci che del relatore, talvolta pare eccedere. Credo che un maggior 'controllo' nello sviluppo, comunque affascinante, dei contenuti esposti, avrebbe giovato.

Segnalo il momento del dibattito finale. Perché Diego Fusaro, sganciandosi dal commento a Gramsci, ha modo di affermare la sua personale visione politico-filosofica, anche in contrasto con i pensatori più noti e accreditati del 900 (ad esempio, Popper, Hannah Arendt, Bobbio...). In particolare, in risposta a una domanda, interessante la precisazione della sua 'collocazione' politica: al di fuori dalla coppia antifascismo-anticomunismo. Una polarità, lui dice, 'comoda' e strumentalmente alimentata dal potere dominante proprio per far dimenticare il vero nemico di oggi: che è il capitalismo (mf)

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«Laddove domina l'indifferenza la storia cessa di essere tale e diventa 'natura'. L'indifferenza è un grande motore della storia. Perché lascia che le cose restino come sono. »(Diego Fusaro, dal video)

Libro di riferimento (in uscita):
* Diego Fusaro, Antonio Gramsci, Feltrinelli, 2015

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« Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione [...] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini » (Antonio Gramsci, lettera alla madre, 10 maggio 1928)

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Riporto qui sotto il testo di Antonio Gramsci commentato da Diego Fusaro:

« Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che «vivere vuol dire essere partigiani» (*). Non possono esistere i solamente ‘uomini’, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. 
L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica. 
L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun con-trollo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano. 
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti. » 

*** Antonio GRAMSCI, 1891-1937, filosofo e leader politico, Indifferenti, ‘La Città Futura’, numero unico, 11 febbraio 1917, riprodotto da http://www.antoniogramsci.com.
(*) Cfr. Friedrich Hebbel, Diario, Carabba, Lanciano 1912 (‘Cultura dell’anima’), p. 82: «Vivere significa esser partigiani», riflessione n. 2127). 

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