sabato 4 marzo 2017

#FAVOLE & RACCONTI / L'incontro in treno (M. Ferrario)

Scompartimento ferroviario. 
Treno in corsa. 
Campi, piante, fattorie, piccoli paesi. Pianura che si alterna a colline. 
Leggera nebbiolina di prima mattina: che sarà presto spazzata via da un sole deciso che anticipa la primavera.

La porta che separa lo scompartimento dal corridoio è chiusa, la tenda è tirata: due posti occupati, gli altri liberi, forse in attesa di viaggiatori che saliranno alla prossima stazione. 

Un bella ragazza sta leggendo una rivista.
Un viso splendido, capelli biondi fluenti, un corpo fresco e sinuoso: si indovina una statura slanciata, con le forme giuste ai posti giusti. 
Un uomo, piuttosto attempato, distinto e con la ventiquattrore da manager ai piedi e un ipad pronto per l'uso sulle ginocchia, le è seduto di fronte: sfoglia un quotidiano economico, ma non si trattiene dal lanciare occhiate di sbieco alla giovane, fasciata in una gonna lunga. 
Lei fa finta di non accorgersene, apparentemente assorta nella lettura: più volte, con indifferenza studiata, accavalla le gambe, scoprendo il bianco delle caviglie che risaltano da due vertiginosi tacchi a spillo. 

Dopo una trentina di minuti, il manager, che ha terminato la lettura quanto mai distratta del quotidiano, tenta un approccio diretto. 
Si presenta, dice dove sta andando, fa capire che vorrebbe chiacchierare.
La ragazza prima finge un leggero fastidio, poi deposita la rivista sul sedile vuoto accanto a lei, e accetta.
Lo scambio sfocia presto nel personale e passano al tu.
Lui confessa che è solo, divorziato da anni, gli rimane soltanto il lavoro.
Anche lei racconta di sé, svela dove è diretta, scenderà alla prossima stazione, confida che viene dall'estero ed è tornata per rivedere la madre malata.

Passa oltre un'ora: la conversazione è intensa, si è fatta intima.
Tra non molto il treno avrebbe costeggiato la periferia della città in cui la giovane sarebbe scesa.
L'uomo invece avrebbe proseguito sino alla stazione finale. Con un certo dispiacere, perché avrebbe voluto approfittare dell'incontro. Non riesce a dissimulare di essere stato sedotto dal fascino della giovane: e lei, che ne è consapevole, abbonda in sorrisi che gli aumentano l'eccitazione.

La ragazza guarda l'orologio e controlla il paesaggio oltre il finestrino: il treno viaggia in perfetto orario.
Decide che il tempo è maturo.

Si rivolge all'uomo con franchezza.
«Temo che sarà difficile un altro incontro. Il destino ci sta per dividere, riaffidandoci ognuno alle strade che ci ha riservato. Peccato. Perché mi pare che ci siamo piaciuti: tu a me e io a te. Ti leggo negli occhi che non sei rimasto insensibile a un po' del mio fascino femminile...».
Il manager deglutisce e annuisce.
Azzarda:
«Già, sei molto bella. E si vede che lo sai. Fai trasparire la tua bellezza con arte. E immagino ciò che tieni nascosto: devi avere un corpo strepitoso.»
La giovane vuole avere un gesto di tenerezza: si sporge in avanti dalla sua poltrona e gli accarezza il viso con un dito, lentamente e con dolcezza.
Poi, gli sussurra:
«E se ti facessi vedere le mie gambe?».
L'uomo è spiazzato.
«Le gambe?».
Lei scherza:
«Sì. Io amo le gonne lunghe, ma le gambe le ho anch'io, sai? E forse non sono proprio brutte...»
Lui non sa che dire.
«Be', insomma...»
Lei insiste.
«Solo se ti va, naturalmente. Sei carino, io di gusti sono difficile e quindi ti puoi fidare del mio giudizio. E poi sei simpatico. Forse te lo meriti: è il mio grazie per la chiacchierata che abbiamo fatto... Del resto, qui non c'è nessuno che ci può vedere...».

Il manager, rosso in viso e trangugiando saliva, si affretta a dire di sì: ha il cuore a mille.
La ragazza, sempre più sensuale, si toglie con delicatezza la scarpa sinistra e, un po' lasciandosi scivolare in avanti sulla poltrona per raccorciare la distanza, allunga il piede nudo, con lentezza esasperante, fino a toccare le ginocchia dell'uomo seduto di fronte a lei.
Poi alza la gonna fino all'inguine, accarezzandosi la gamba più volte, dal piede agli slip e dagli slip al piede. Quindi, sempre guardando gli occhi stralunati dell'uomo, si toglie la scarpa destra e ripete la scena di prima, percorrendo con le mani più volte la gamba, perfettamente abbronzata e senza calze.

Infine, come riavutasi da un film girato al rallentatore, rimette velocemente i piedi nelle due scarpe, riabbassa la gonna e si risistema perfettamente ritta e seduta, tutta compunta, lanciando un sorriso quanto mai complice e pieno di sottintesi all'uomo.
Che resta attonito e senza parole.

«Allora, contento?», lo stuzzica.
Il manager si passa un dito nel colletto, poi si allarga il nodo della cravatta. 
Prende coraggio.
«Senti, ma...».
La ragazza allarga il viso: ride fingendo di sgridarlo.
«Lo sapevo, non siete mai contenti voi uomini. Adesso, per esempio, cosa vorresti...? E' vero, siamo soli, ma siamo pur sempre su un treno, ricordati...».
L'uomo si zittisce e si alza: ha la fronte imperlata di sudore.
«Hai ragione, scusami. Meglio che vada alla toilette a sciacquarmi il viso».
La ragazza, nello stesso momento, scatta in piedi anche lei e lo blocca mentre lui sta per guadagnare l'uscita dallo scompartimento. 
I loro corpi entrano in contatto. 
Lui si mostra dispiaciuto, chiedendole scusa di esserle finito addosso, anche se in realtà è lei che l'ha volutamente placcato.
Lei, per tutta risposta, restando incollata al suo corpo, si apre la camicetta, facendogli dare un'occhiata al seno, sodo e prosperoso: solo qualche secondo e a lui pare di aver visto il paradiso.
Poi immediatamente si ricompone, risedendosi di scatto.
E riprende in mano la rivista che aveva lasciato sul sedile accanto.

Il manager è sempre più sconcertato. 
Si è bloccato, ritto in piedi, con la maniglia sulla porta: non ricorda più che avrebbe dovuto andare in bagno. 

Il treno continua a sfrecciare per la campagna.
La giovane guarda fuori dal finestrino.
L'uomo, tornato dai servizi, si sta passando un fazzolettino profumato in faccia: non fa caldo, ma continua a sudare. 
Tra una decina di minuti, il paesaggio si sarebbe popolato di case e strade e il treno avrebbe raggiunto la città in cui sarebbe scesa la giovane, mentre lui avrebbe proseguito sino al termine della corsa.

Adesso nello scompartimento si è fatto silenzio.
La giovane sfoglia svogliatamente la rivista.
Il manager è assorto.
Sta riflettendo sulla strana avventura che gli è capitata, quando la ragazza getta via la rivista e manifestando contentezza per la sorpresa che avrebbe fatto di lì a poco alla mamma, lo sconcerta con l'ennesima domanda:
«Vuoi che ti faccia vedere dove mi sono operata di appendice quando ero piccola?».

L'uomo vuole essere sicuro di non essersi inventato la domanda.
E se la fa ripetere.
«Prego...?»
Lei lo prende in giro.
«Hai sentito benissimo. Per quanto tu sia un uomo maturo, finora non mi sei parso soffrire di sordità. Comunque te lo ripeto: vuoi che ti faccia vedere dove mi sono operata di appendice quando ero piccola?»

Il manager alza gli occhi, come a cercare aiuto in un cielo che non c'è: sostituito dal grigio soffitto dello scompartimento.
E' combattuto: quando arriverà a destinazione sarà impegnato in una riunione difficile, per la quale non ha ancora preparato nulla. Forse sarebbe il caso di buttar giù qualche appunto. E cogliere l'occasione per chiudere con questo strano incontro che lo sta frastornando. Ma è pur vero che l'eccitazione non è passata. E poi, tra qualche minuto, comunque tutto si sarebbe concluso: la stazione era vicina.

La ragazza lascia trascorrere un po' di secondi.
Poi allunga la gamba, stuzzicando con il tacco a spillo la caviglia del manager e accompagnando il movimento con un sorriso inequivocabile.
L'uomo cede: annuisce. Emettendo un sospiro che significa tutto.

Ma stavolta la ragazza rimane immobile e silenziosa: non smette di fissare in modo intenso il manager negli occhi.
Lui non capisce.
Trascorrono secondi che paiono minuti.
Poi, come spazientito e curioso di vedere come finirà questa storia, l'uomo decide di incalzare:
«Allora? Io sono pronto: non hai detto che mi fai vedere dove ti sei operata?»
Lei si è fatta seria.
«Stavolta voglio qualcosa in cambio...».

L'uomo è sempre più sconcertato. 
Quando crede di aver afferrato, è a disagio: 
«L'hai detto anche tu prima: siamo soli, ma in qualunque momento può arrivare qualcuno... Magari il controllore... Che facciamo? Lui arriva e ci trova qui tutti e due mezzi nudi? E poi, non c'è tempo...».
Lei non trattiene la risata.
«No, scusa: ma che hai capito? Bastano 100 euro. Tu me li dai e io ti faccio vedere...».
«100 euro?»
«Sì, semplice mi pare. E veloce. Però devi sbrigarti. Se no, non ne facciamo nulla e va bene lo stesso».

Il manager cerca di riaversi dallo sbalordimento: vorrebbe non esserci, non sa che fare.
La ragazza non abbassa gli occhi ed esibisce una smorfia ironica al suo indirizzo.
Non dice altre parole.
Poi, accavalla una gamba e con un piede inizia a far penzolare una scarpa, mezzo sfilata, a pochi centimetri dal pavimento, con l'evidente intenzione di catturare lo sguardo dell'uomo.
Lui segue quel dondolio come ipnotizzato.

Infine, di colpo, dopo aver guardato l'orologio ancora una volta, lei smette la provocazione, si reinfila la scarpa con decisione e si alza di scatto per prendersi il trolley dalla retina portabagagli.
Con noncuranza, commenta:
«Bene, la stazione è vicina. Tre minuti e non mi vedi più. Grazie comunque: ho apprezzato la tua compagnia e il viaggio è volato...».

Allora lui, come svegliandosi da una riflessione peraltro vuota di pensieri, si affanna a cercare il portafoglio nella giacca.
«Ok. Eccoti i tuoi 100 euro. Francamente mi hai deluso: non credevo. Comunque, ora tocca a te.».

La giovane, visibilmente soddisfatta, fa scomparire in un attimo i due pezzi da cinquanta nella borsetta.
Non trattiene lo sfottò:
«Finalmente. Sempre così veloci voi manager nel prendere le decisioni...?».
Lui non raccoglie: un po' ce l'ha con se stesso per aver ceduto e un po' è troppo concentrato su quello che pensa accadrà.

Il paesaggio continua a scorrere dietro il finestrino.
Il treno sta rallentando: ecco la periferia della città.
Strade, incroci, il solito traffico di auto, moto, autocarri.
E là, sulla destra, un quartiere di case, distribuito su una leggera collina.
La stazione è vicina.

Il manager è impaziente, ormai è anche seccato.
«Allora?».
Lei lo calma.
«Un minuto... un minuto soltanto...».

Ora la giovane è in piedi, pronta a imboccare l'uscita che dà sul corridoio, con il suo trolley accanto.
Continua a guardare oltre il finestrino.
Ha un dito sulle labbra, come a significare di aspettare in silenzio e di non disturbare.
Con lo sguardo cerca... cerca...
Anche lei sembra in attesa.

Finalmente, si illumina.
«Ci siamo, ci siamo.... Ecco... Lì», indica la ragazza.
E punta il dito sul panorama che, sempre più lentamente, sfila dietro il vetro, mentre il treno continua a rallentare la sua corsa.
«Là, sullo sfondo, guarda. Verso la collina...».

Lui obbedisce, dirigendo la vista dove lei suggerisce.
«La vedi quella grande struttura, quel palazzone a più piani con tutto quel giardino attorno?»
Il manager annuisce, senza capire.
«Sì. E allora?»
«E' quello.
«Quello, cosa?»
«E' l'ospedale in cui ho fatto l'operazione dell'appendice...».

L'uomo ha ancora gli occhi sulla collina, che man mano sta scomparendo, superata da case sempre più fitte che annunciano l'entrata in stazione.
La giovane è già in corridoio: sta correndo con il suo trolley verso la fine della carrozza.
Stridore di freni, il treno si blocca, le porte si aprono.
Lei scende.
Nello scompartimento è rimasta, insistente, l'eco della sua risata: squillante, divertita, canzonatoria.

*** Massimo Ferrario, L'incontro in treno, 2017, per Mixtura - Rielaborazione creativa di uno spunto contenuto in un testo diffuso in rete.


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