Ieri le porte si assomigliavano tutte e bastava un pass-partout. Oggi, ci vogliono chiavi ad hoc.
Lo sappiamo da tempo, ma continuiamo a non volerlo sapere. E temiamo di restare prigionieri della stanza, senza possibilità di uscire.
Siamo spaventati da un’equazione del tutto arbitraria: porta chiusa uguale porta che non si può aprire.
E rinunciamo così a vedere l’opportunità che finalmente abbiamo: di aguzzare l’ingegno - diventando ingegneri di noi stessi e della situazione - e di trovare la chiave-che-apre.
Qualche volta sarà sufficiente una leggera limatura della chiave precedente, altre volte dovremo procedere ad un completo ridisegno, altre volte ancora - la tecnologia avanza - dovremo gettare la vecchia chiave di ferro per una nuova chiave elettronica.
Ma, sempre, la porta - basta provare - si apre.
Certo, prima di scegliere o progettare la chiave, bisogna capire: analizzare la toppa, rilevarne la sagomatura.
Capire se siamo nel modello “ferro” o nel modello “elettronico”.
Perché nel primo caso occorre girare/inserire la chiave nel modo giusto. Ma nel secondo caso la porta ha bisogno di un badge e non più di una chiave.
Una porta è soltanto una porta e siamo noi che possiamo aprirla. O chiuderla.
Non c’è “destino cinico e baro”, non c’è “complotto”: se mai, il complotto siamo noi.
Che non siamo capaci di aprirla.
Magari perché non abbiamo le conoscenze aggiornate.
E continuiamo a stare nel modello 'ferro'.
Magari perché non abbiamo le conoscenze aggiornate.
E continuiamo a stare nel modello 'ferro'.
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