[La pena di morte] chiamiamola col suo nome che, in mancanza di una qualsiasi altra nobiltà, le restituirà almeno quella della verità, e riconosciamola per quel che essenzialmente è: una vendetta. Infatti, il castigo che sanziona senza prevenire si chiama vendetta. E' una risposta quasi aritmetica che la società fornisce a chi infrange la sua legge primordiale. Questa risposta è antica come l'uomo: si chiama taglione. Chi mi ha fatto del male, deve averne; chi mi ha strappato un occhio, deve perderne uno dei suoi; chi ha ucciso, deve morire. Si tratta di un sentimento, e particolarmente brutale, non di un principio. (...)
Il taglione rientra nell'ordine della natura, dell'istinto, non rientra nell'ordine della legge. La legge, per definizione, non può obbedire alle stesse regole della natura. Se l'assassinio è nella natura umana, la legge non è fatta per imitare o riprodurre questa natura. È fatta per correggerla. Ora, il taglione si limita a ratificare e a dar forza di legge a un puro movimento naturale. Noi tutti abbiamo conosciuto questo impulso, spesso a nostra vergogna, e conosciamo la sua potenza: ci viene dalle foreste originarie. (...)
Generalmente l'uomo è distrutto dall'attesa della pena capitale molto tempo prima di morire. Gli si infliggono due morti, e la prima è peggiore dell'altra, mentre egli ha ucciso una volta sola. Paragonata a questo supplizio, la legge del taglione appare ancora come una legge di civiltà. Non ha mai preteso che si dovessero cavare entrambi gli occhi a chi aveva reso cieco di un occhio il proprio fratello. (...)
Per finirla con questa legge del taglione, bisogna constatare che, persino nella sua forma primitiva, essa non scatta che tra due individui di cui il primo sia assolutamente innocente, e l'altro assolutamente colpevole. La vittima, certo, è innocente. Ma la società che si presume debba rappresentarla, può forse sostenere di essere innocente? Non è forse responsabile, almeno in parte, del crimine che reprime con tanta severità?
*** Albert CAMUS, 1913-1960, scrittore, drammaturgo, saggista, filosofo francese, premio Nobel per la letteratura nel 1957, Riflessioni sulla pena di morte, 1957. Anche in 'aforismario.net', qui
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