La politica è una realtà viva e, come ogni realtà vivente ha un'anima: la tensione ideale ed etica. Se questa si perde, la politica muore. E, quando si muore, si marcisce e ci si corrompe. La corruzione che oggi la politica manifesta è dunque il sintomo della sua morte. Dopo la fine delle ideologie - di cui si può discutere a lungo ma che indubbiamente davano una spinta ideale e una tensione etica - la politica ha perso l'anima, la sua tensione etica e ideale. Ecco perché non stupiscono più i titoli del telegiornale che ogni giorno parlano di scandali. L'astensione cresce. Eppure la politica, che molto parla di rapporto con il popolo, non sembra allarmata.
[D: Lei che ne pensa?]
Quando la politica muore, si diffondono due malattie gravi, che possono risultare mortali per i sistemi democratici.
La prima è l'antipolitica che si propaga soprattutto tra i cittadini elettori. Si manifesta nel disinteresse, nell'astensionismo fino a giungere al rifiuto del sistema e della intera classe dirigente.
La seconda patologia è il populismo che invece colpisce chi governa. Si manifesta nella tendenza a privilegiare il rapporto diretto con il popolo, con la piazza, e si mettono in secondo piano le mediazioni istituzionali, cioè le regole della democrazia rappresentativa. Le istituzioni vengono delegittimate e prevale un pragmatismo che fa emergere i leader e conduce a forme inaccettabili di arroganza e intolleranza nei confronti delle minoranze.
[D: Chi governa non pare molto preoccupato della distanza dei cittadini dalla politica]
Le due cose si tengono. Chi ha il potere preferisce il rapporto diretto col popolo. Si arriva a dire: mi hanno condannato? Chi se ne importa! Ho il consenso dei cittadini che mi votano.
[D: Nella polemica sulla lista degli impresentabili, nessuno ha sottolineato come dovrebbe essere prevalente l'interesse dei cittadini a poter scegliere tra candidati per bene]
Tutto ciò che aiuta i cittadini a fare una scelta politica più informata e oculata è prezioso. Sono stato undici anni a Palermo, ho visto la mafia in faccia. E ho toccato con mano quanto sia utile svelare ai cittadini i maneggi della criminalità organizzata che vive di omertà e vorrebbe rimanere occulta: il lavoro della Commissione parlamentare è importante in questo senso. Ma rendere pubblico l'elenco a poche ore dal silenzio elettorale non era opportuno e si è rivelato controproducente. Ci è voluto tempo per raccogliere i dati necessari, d'accordo, era evidente però che l'iniziativa, nel contesto in cui è stata presa, sarebbe stata interpretata come una ripicca o una vendetta della sinistra del Pd. Ciò ha reso praticamente ininfluente l'intervento della Commissione, e ha prodotto più danni che vantaggi.
(...)
Il problema della rappresentanza politica non si può ridurre a una questione esclusivamente giuridica o di capacità operativa: l'aspetto etico viene prima. Può accadere che un politico, senza sua colpa, venga a trovarsi in una situazione che gli toglie credibilità, anche in assenza di una condanna penale. Voglio dire che la credibilità morale è una cosa diversa, dal piano strettamente giuridico. E l'onorabilità morale è una dote necessaria per chi deve governare.
(...)
[D: Come se ne esce?]
Con la formazione. In particolare, l'esemplarità di chi governa ha un enorme peso educativo. Questa convinzione è maturata in me dall'esperienza siciliana degli anni Ottanta. Per far fronte alla mafia, occorreva dedicarsi alla formazione di una nuova classe dirigente. Nello stesso tempo, era importante impegnare la scuola, i mass media, la Chiesa e tutte le agenzie educative nella formazione di una nuova coscienza civica a livello popolare. Nacque così la "primavera di Palermo". Senza una forte tensione morale per la legalità, il denaro e la corruzione continueranno in modo inarrestabile la loro opera devastatrice della politica e della vita democratica.
*** Bartolomeo SORGE, 1929, gesuita, teologo e politologo, direttore dell'Istituto san Fedele, esperto di dottrina sociale della Chiesa, intervistato da Silvia Truzzi, «Se la politica è marcia, nascono leader arroganti e intolleranti», estratto, 'Il Fatto Quotidiano', 10 giugno 2015
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