sabato 24 dicembre 2016

#MOSQUITO / Individuarsi, il processo di differenziazione psichica (Carl Gustav Jung)

Qui si può domandare perché mai sia desiderabile che un uomo si individui. E’ non solo desiderabile, ma indispensabile, perché l’individuo, non differenziato dagli altri, cade in uno stato e commette azioni che lo pongono in disaccordo con se stesso. Da ogni inconscia mescolanza e indissociazione parte infatti una costrizione ad essere e ad agire così come non si è. Onde non si può né essere d’accordo in ciò né assumerne la responsabilità. Ci si sente in uno stato degradante, non libero e non etico.”

L’uomo ha una facoltà che per gli intenti collettivi è utilissima, e dannosissima per l’individuazione: quella di imitare.
La psicologia sociale non può fare a meno dell’imitazione, perché senza di essa sono impossibili le organizzazioni di masse, lo stato e l’ordine sociale; non è, infatti, la legge che fa l’ordine sociale, ma l’imitazione, concetto che comprende anche la suggestionabilità, la suggestione e il contagio mentale. Ma ogni giorno vediamo anche quanto si usi e si abusi del meccanismo dell’imitazione a scopo di differenziazione personale: si imita una personalità eminente o una qualità o attività rara, ottenendo cosi di differenziarci, sotto l’aspetto esteriore, da chi ci sta più vicino. Per punizione – si potrebbe dire – la somiglianza nondimeno presente con la mentalità dell’ambiente si accresce fino a divenire un inconscio legame coatto con l’ambiente stesso. Di solito il tentativo di falsa differenziazione individuale mediante l’imitazione non va oltre l’affettazione, e l’uomo rimane quello che era prima, ma alquanto più sterile. Per scoprire che cosa c’è in noi di propriamente individuale occorrono profonde meditazioni, e all’improvviso ci accorgiamo di quanto sia difficile la scoperta dell’individualità. (...)

La costruzione di una persona collettivamente conveniente è una grave concessione al mondo esteriore, un vero sacrificio di sé, che costringe l’Io a identificarsi addirittura con la persona, tanto che c’è della gente che crede sul serio di essere ciò che rappresenta. La “mancanza d’anima”, in questo atteggiamento, è però soltanto apparente, perché l’inconscio non tollera in alcun modo un simile spostamento del centro di gravità. Osservando criticamente questi casi, scopriamo che la maschera disegnata è compensata interiormente da una “vita privata”.  (...)

L’uomo non può impunemente sbarazzarsi di se stesso a favore di una personalità artificiale. Il semplice tentarlo, in tutti i casi usuali, scatena inconsce reazioni, fisime, affetti, fobie, idee coatte, debolezze, vizi e cosi via. L’ “uomo forte” nella vita sociale è spesso, nella vita privata, un bambino di fronte ai propri stati affettivi, la sua disciplina pubblica (che egli esige particolarmente dagli altri), fallisce penosamente in privato. La sua giocondità professionale ha, a casa, un volto malinconico; la sua “incontaminata” morale pubblica ha un curioso aspetto dietro la maschera… 

Si dice che è egoistico o “malsano” occuparsi di sé, che la propria compagnia è la peggiore, che fa diventar melanconici; ecco gli splendidi certificati che vengono rilasciati alla nostra natura umana! Ma sono un’espressione autentica del mondo occidentale. Chi pensa cosi, evidentemente non immagina con quanto piacere altra gente sta in compagnia di questi sudici vigliacchi.

*** Carl Gustav JUNG, 1875-1961, medico e psicoanalista svizzero, fondatore della psicologia analitica, L’io e l’inconscio, 1928, Bollati Boringhieri, 2012.
Passi segnalati in 'jungitalia', 2 dicembre 2013, qui


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