venerdì 13 marzo 2015

#SPILLI / Il mantra dell'ascolto: cosa nasconde (M. Ferrario)

Il mantra dell’ascolto. Ce lo ripetiamo ossessivamente. 
E’ vero, non ascoltiamo. E dovremmo farlo. 
Per capire. Per non continuare ad agire senza aver capito. E poi per vivere (con-vivere) un po' meglio. Con maggiore efficacia relazionale. Nella realtà, con gli altri. Fuori dal lavoro, sul lavoro. 

Soffriamo di un deficit di ascolto che non si risolve andando dall’otorino. 
Dovremmo 'imparare' ad ascoltare. Con la testa e soprattutto con la pancia: il cuore, l'anima. 
Ascoltare senza dare per scontato che abbiamo già capito. 
Meno autocentratura. Più empatia. E molta (molta) 'egopuntura': che dia una sgonfiata al nostro narcisismo senza freni. 

E' giusto che ci ripetiamo questo impegno e sarebbe ancora più giusto che cominciassimo a metterlo in pratica. 
Però. 

Mi domando: non sarà, anche, che così sognando (ascoltare e ascoltare e ascoltare), nascondiamo pure a noi stessi il sogno (che peraltro è già per buona parte realtà) di non doverci esporre mai, o comunque di esporci il meno possibile? 
Forse, per fare una società che sia un po' più 'comunità', o quanto meno che voglia tentare di avere questo 'senso' (significato e direzione), occorrono persone che 'osino'. Di più. Che 'ci siano'. Di più. 
Va bene obbedire, ma anche, e soprattutto, dire. 
Va bene ascoltare, ma anche prendere posizione: valutare, controbattere, proporre, criticare, argomentare. 
Sul lavoro: col capo, coi capi, con i colleghi. Nella vita: con l'amico, col conoscente, con l'altro in generale. 

E' questo che valida i processi decisionali e aumenta le probabilità di fare scelte appropriate. Che è poi, oggi, il problema dei problemi: in un mondo sempre più difficile e complesso, le decisioni si 'imbroccano' più facilmente se in molti, prima, discutono e condividono. Cioè mettono insieme competenze, idee, esperienze. Al limite, non c'entra la democrazia (anche se c'entra eccome), ma c'entra sicuramente il 'buon' funzionamento: ossia quel funzionamento che ha maggiori possibilità di portare risultati voluti. 

Si chiama confronto
E, al di là della retorica, è in ballo (dovrebbe essere in ballo) la vecchia e risaputa dialettica. La quale prova, prima, a valorizzare (non a reprimere) e, poi, a comporre (senza soffocare) le differenze: per giungere a sintesi più fondate, solide, ricche. Che rendano più ficcanti e sostenibili le decisioni e le realizzazioni conseguenti. 

Certo, perché questo avvenga, occorre che anche l'altro 'ci sia'. Si esponga. Prenda posizione. Affermi se stesso. Esprima (ohibò) opinioni, idee, valutazioni. Non si limiti ad annuire, confermare, tacere. Ma spieghi, argomenti, discuta. 
Il problema è che, troppo spesso, l'altro 'non c'è'. 
Se gode di potere formale (e gliene basta poco), comanda. Mostra il grado, la divisa, il ruolo. Trasmette, non comunica. Fa retorica. Passa slogan. Si impone: lui non parla, fa parlare il titolo, lo status, le spalline.
E se no, è indifferente. Magari spacciando l'indifferenza per tolleranza. E, in questo caso, anche un certo diffuso 'psicologismo' focalizzato sull'ombelico, unito a un buddismo (spesso mal tradotto e comodo) oggi di moda, aiuta. E il vecchio e volgare 'chissenefrega' si nobilita: 'fai come vuoi, io non mi espongo, ti rispetto'. Ma non è rispetto: è assenza.

Insomma, forse dovremmo smettere di scambiare il 'film' con il 'cinema': guardando la pellicola, anziché girarla. 
Certo, ci perderemmo il guadagno del brontolamento e della lamentazione perché le cose non vanno come diciamo noi. 
Ma, magari, potremmo contribuire a farle andare in modo diverso.
Con un po' di fatica: se non altro avendo e esprimendo le nostre posizioni.
Ma è il mestiere del vivere. E, soprattutto, del convivere.
Meno spettatori, più attori.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura



Antonio GRAMSCI, 1891-1937, filosofo e leader politico, 
da ‘La Città Futura’, numero unico, 11 febbraio 1917, 

4 commenti:

  1. aggiungiamo anche l'ascolto attivo, quello partecipante che si sviluppa in una conversazione centrica sull'argomento trattato e portante a nuovi dibattiti, come affermi nel tuo intervento.
    Del pensiero che esprimi piace sottolineare la frase che più mi colpisce in particolare la parola egopuntura (un simpatico neologismo)

    Meno autocentratura. Più empatia. E molta (molta) 'egopuntura': che dia una sgonfiata al nostro narcisismo senza freni.

    un caro saluto

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  2. Concordo, Francesco.
    Anche se da sempre ripeto, con il mio solito stile provocatorio, che l'ascolto o è 'attivo' o non è ascolto.
    Perché l'ascolto 'con le sole orecchie' non basta: senza testa e, soprattutto, cuore e anima, che mantengono 'attiva' la relazione e consentono il 'sentire', abbiamo solo un 'canale aperto' (si spera non ostruito da... cerume).
    Comunque ben venga la ridondanza: se serve a spingerci a compiere un atto che ci è poco usuale.
    Sempre che non sia l'ennesima fuga retorica: in mancanza dell'azione (troppo faticosa), ci consoliamo ripetendo parole autorassicuratorie.

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  3. "Egopuntura" ha colpito molto anche me ! E' un significante di ottimo conio e di facile comprensione; condensa una molteplicità di significati che ben si prestano alle riflessioni sul tema dell' ascolto relazionale. "Pungere" il proprio Ego, farsi "pungere" dall' Altro, intelligere di entrambi la risposta ai canali di stimolo vicendevolmente toccati: ottimo spot per una rubrica che si chiama, non a caso, #SPILLI . Grazie

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  4. Grazie, Paolo: sei gentile...
    Ho introdotto il termine 'egopuntura' nel mio linguaggio diverso tempo fa (usandolo anche in qualche aula di formazione manageriale) e col tempo ne ho quasi perso il significato di potenziale ironico-provocatorio che tu adesso mi ricordi...;-).
    Sì, resto sempre più convinto di quanto sarebbe utile adottare questa pratica, più di quanto comunemente (non) facciamo: su noi stessi e su tutti i troppi 'palloni gonfiati' che ci attorniano.
    È una questione basilare di 'igiene psicologica': chi 'se la tira', nella vita e sul lavoro, non dovrebbe essere tollerato e andrebbe isolato, perché ne va del 'benessere' (ma anche della sempre tanto richiamata 'efficacia') del contesto intero.
    Ma ovviamente so che dirlo è più facile che farlo: io ad esempio non sempre ci sono riuscito, anche se posso dire che sempre ci ho provato.
    E comunque a volte basta pure solo far capire, preventivamente, che si è tipi cui non manca il coraggio di usare lo 'spillo' ...

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