Massimo CARLOTTO, La banda degli amanti, edizioni e/o, 2015,
pagine 195, € 15,00, ebook € 9,99
Chi apprezza Massimo Carlotto e compra un suo romanzo si aspetta quel che trova, soprattutto se il protagonista è l'Alligatore: una storia con un buon intreccio, una scrittura fluida e accattivante, paesaggi e atmosfere in linea con il degrado morale di taluni personaggi, il confronto tra una criminalità vecchio stile, in qualche modo rispettosa di una sua etica, e una criminalità dell'oggi, cinica, spavalda, di una violenza anche sadica e disposta a tutto pur di sacrificare al dio denaro.
Anche questo libro, che segna il ritorno dell'Alligatore, in campo da 20 anni, ma assente da qualche anno, non delude.
Tutto prende l'avvio dalla scomparsa di un giovane docente universitario.
La sua amante, una svizzera altoborghese che aveva rifiutato il riscatto per il suo rapimento, dopo oltre un anno dalla scomparsa non resiste ai sensi di colpa e, su segnalazione di un'amica, si rivolge all'Alligatore perché indaghi.
Un po' di resistenza iniziale, anche manifestata con modi bruschi e scostanti che mirano a far desistere la cliente, a causa di una crisi d'amore che sembra virare sull'esistenziale e lo vorrebbe isolato a leccarsi le ferite, e alla fine, per quanto strappato e sofferto, il sì.
E la storia parte, con l''investigatore senza licenza' al centro, circondato dalla intelligenza e dall'affetto dei suoi amici-soci tradizionali, Max la Memoria e Beniamino Rossini, che lo seguono nelle sue avventure e che stavolta si rivelano indispensabili nel dargli una mano per combattere Giorgio Pellegrini, un personaggio brutale, squallido e ripugnante, che ritorna in campo 'dal passato' di altri romanzi.
Una lettura tesa e gustosa, resa ancor più stuzzicante e drammatica, dall'alternarsi dell'ottica dell'io narrante, dall'Alligatore al Pellegrini: un artificio efficace, e all'inizio spiazzante, per coinvolgere il lettore, come fosse in presa diretta, nella partita mortale tra i due.
Due ore di svago non banale: se è vero che mentre sei 'preso' dal ritmo della trama, qualche pensiero ti viene su come va il mondo e sulla mobilità dei confini tra bene e male.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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Il cameriere mi portò un bicchiere old fashioned con sette parti di calvados, tre di drambuie, ghiaccio in abbondanza e una fettina di mela verde da sgranocchiare alla fine per consolarsi del bicchiere vuoto. Un Alligatore. (...)
In quel periodo non riuscivo a smettere di seguire programmi assurdi che raccontavano la crisi negli Stati Uniti. Banchi di pegni in città economicamente fottute come Detroit, con file interminabili di afroamericani che cercavano di piazzare qualsiasi cosa in cambio di pochi dollari. Aste di case o di ville disputate come battaglie da squali che diventavano personaggi televisivi. Box di sterminati self storage i cui lucchetti venivano aperti con le tronchesi. I compratori avevano cinque minuti per dare un’occhiata dall’esterno, poi si contendevano con rilanci da cinquanta dollari oggetti che avevano fatto parte della vita di altre persone che un giorno non erano state più in grado di pagare l’affitto. Impossibile non meravigliarsi della bassezza dei contenuti, eppure qualcosa mi spingeva a seguirli. In particolare quelli ambientati nel mondo dei pegni. Donne che volevano pagare la cauzione per tirare fuori di galera i loro uomini e che dovevano arrendersi all’idea di non farcela perché i loro gioielli, televisori, computer, pellicce venivano valutati una miseria. Ogni tanto arrivava qualcuno che doveva pagarsi le medicine ma quelle scene non riuscivo a reggerle e cambiavo canale. Un tempo attendevo il sonno con scorpacciate di televendite. Ora la civiltà televisiva offriva di meglio, il voyeurismo sulla povertà della grande America. Il messaggio era sempre lo stesso: “Fottetevi. Tocca a voi pagare i costi della crisi”. (Massimo Carlotto, da La banda degli onesti)
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