sabato 21 marzo 2015

#FAVOLE & RACCONTI / Il tempo e le pietre del vaso (Massimo Ferrario)

Il Sommo Professore era apparso all’improvviso, sullo spiazzo antistante la capanna, e subito, dietro di lui, si erano affacciate una trentina di persone, tutte vestite allo stesso modo – camicia, giacca, cravatta -, che procedevano in fila indiana, dal sentierino che portava su dalla valle. 

Il sole era ancora alto. Le fronti erano imperlate di sudore, anche se la lunga camminata prevedeva un percorso molto tortuoso, per lo più all’interno del bosco, all’ombra degli abeti. L’ordine era stato perentorio: massimo silenzio e camminare in punta di piedi. Il Sommo Professore temeva che non sarebbe stato facile convincere Grande Vecchio e per questo si era raccomandato con i suoi allievi di onorare con il rispetto più profondo il luogo sacro in cui si sarebbero trovati. 

Piccolo Uomo uscì dalla capanna e incontrò lo sguardo del Sommo Professore. Ambedue congiunsero le mani, portandole al petto, e chinarono leggermente il capo in segno di saluto.

«Grande Vecchio è in meditazione alla Grotta Sporgente», lo informò Piccolo Uomo. «Sapeva del vostro arrivo. Immagino sarà qui a momenti. Lui dice che il suo orologio è il sole e che per questo è sempre in tempo.»
«Grazie, Piccolo Uomo», rispose il Sommo Professore. «In effetti siamo in anticipo: lo aspetteremo. Del resto non si può essere più puntuali del sole».
Sorrisero tutti, anche gli allievi, che si erano nel frattempo avvicinati e messi in circolo attorno a Piccolo Uomo.

Piccolo Uomo offerse caraffe di acqua e limone e di te freddo. 
Dallo spiazzo il panorama era stupendo. Il gruppo era affascinato dalla chiostra delle montagne: la giornata era limpida, tranne uno sbuffo bianco di nuvola che campeggiava su una cima, ad ovest; l’aria era leggera, il sole pizzicava. Dappertutto, solo il respiro della natura.

«Pensi che accetterà?», chiese un po’ in apprensione il Sommo Professore.
«L’ha già fatto», rispose Piccolo Uomo.
«Davvero?», si illuminò il Sommo Professore.
«E’ stato Carta Stampata, quando l’ha incontrato qui per la prima volta e ne è divenuto amico. Ha insistito. E io con lui. Grande Vecchio non sa dire di no a chi vuol bene».

Il Sommo Professore trasse un profondo sospiro e bisbigliò la buona notizia alle persone più vicine che subito la trasmisero alle altre. Il gruppo intero si rallegrò.
«Siamo debitori a te e a lui. Sono felice. Credo che oggi apprenderemo. E io più di tutti», concluse il Sommo Professore. 
Poi proseguì: «Carta Stampata è stato il mio studente preferito. Oggi è giornalista e scrittore come tanti: ma lui usa occhi e cuore come pochi. Sono contento che anche Grande Vecchio lo ami».

Non se n’erano accorti: Grande Vecchio era in piedi alle loro spalle.

«Non può essere in ritardo chi va col sole», scherzò Grande Vecchio allargando il viso e chinando leggermente il capo per salutare. «Quindi siete voi in anticipo».
«Ahimè, sì», sorrise il Sommo Professore. «Forse ti avranno detto dei nostri problemi col tempo… In genere siamo in ritardo, stavolta in anticipo. Mai puntuali.»
«Già, mi pare che laggiù, in città, anche il tempo è un problema».
«Non lo sappiamo gestire», concluse il Sommo Professore.
«Forse perché lo volete gestire troppo». 
«Troppo, Grande Vecchio?»
«Chissà. Il tempo allora, come un cavallo, si imbizzarrisce.»
«Non bisognerebbe cavalcarlo?».
«Probabilmente assecondarlo, farsi trasportare: come in una danza, quando non si capisce chi guida chi. Ma… scusami, sto dicendo cose non richieste, e poi io non debbo fare il manager».
«No, Grande Vecchio, invece siamo qui proprio per questo. Giù in valle, nelle città, ci vorrebbe un po’ della tua saggezza. Questi miei allievi, come ti sarà stato anticipato da Carta Stampata, sono i manager più importanti delle più importanti aziende del Paese. Il loro mestiere è complesso: a loro sono affidati i destini di uomini e ricchezze. Hanno bisogno di competenze in un campo sconfinato di sapere. A loro è richiesto di fare molte cose. Una di queste, senz’altro, è quella di pianificare, programmare, definire le priorità. Molti libri sono stati scritti sull’argomento, molti docenti hanno insegnato e molti consulenti hanno consigliato. Ma noi vorremmo, adesso, il tuo pensiero. Siamo sicuri che per tutti noi la tua riflessione ci sarà di ristoro, come l’aria fresca e pura di queste montagne.»
«Ti ringrazio delle parole troppo buone», rispose Grande Vecchio. «L’amico Carta Stampata, che so un tempo tuo studente preferito, mi ha detto. Ma io non so fare lunghi discorsi. E poi, i tuoi allievi gestiscono imprese, io non gestisco neppure me stesso: convivo. Con me, con le montagne qui attorno, con la natura tutta. Mi interrogo: chiedo alla mia anima. Qualche volta ottengo una risposta, più spesso un’altra domanda. Cerco semi, che non sempre trovo. E ogni tanto raggiungo qualche convinzione. Da cambiare o da tenere a seconda di quel che trovo successivamente. Così vivo e mi oriento. Ma orientare gli altri…»
«A noi puoi essere di orientamento», insistette il Sommo Professore.
«Se tu lo credi, non mi ritraggo: non mi piace chi sembra farsi pregare e io volentieri ho accettato quest’incontro. Ma più che dire, farò: vi proporrò un piccolo caso concreto. Valuterete voi significato e utilità. Venite.»

Grande Vecchio si diresse al limite estremo dello spiazzo, che Piccolo Uomo aveva attrezzato con un tavolo di legno, sul quale troneggiava un vaso molto grande, di almeno una decina di litri, dall’imboccatura larga una ventina di centimetri. Tutti vi si disposero davanti, ritti in piedi, attentissimi.

Grande Vecchio fece un cenno a Piccolo Uomo, che sistemò sul tavolo una cesta di pietre pesanti, di forma diversa, tutte comunque in grado di passare dall’imboccatura del vaso. Una dopo l’altra, le pietre vennero disposte nel vaso, sino a riempirlo. 

A questo punto, Grande Vecchio chiese a tutti: «Il vaso è pieno?»
Tutti annuirono.
Allora Grande Vecchio fece un cenno a Piccolo Uomo, che andò a prendere nella capanna un sacchetto di ghiaia. Grande Vecchio aprì il sacchetto e versò la ghiaia nel vaso, agitandolo un po’: il pietrisco scivolò lungo le pietre, riempiendo gli spazi vuoti.

A questo punto, Grande Vecchio chiese a tutti: «Il vaso è pieno?»
Qualcuno, avendo capito, rispose di no.
Grande Vecchio si fece portare da Piccolo Uomo un sacchetto di sabbia e versò la sabbia nel vaso.

A questo punto, Grande Vecchio chiese a tutti: «Il vaso è pieno?»
Tutti risposero di no.
Piccolo Uomo portò una brocca d’acqua e Grande Vecchio ne vuotò parte nel vaso. L’acqua arrivò fino all’orlo.
A questo punto, Grande Vecchio alzò il vaso in modo che tutti lo potessero osservare bene. «Sì, adesso è proprio pieno», disse. 
Quindi domandò: «Qual è il significato di ciò che ho fatto?»

Tutti rimasero zitti, intimoriti. 
Solo il Sommo Professore parlò: «Anche quando crediamo che la nostra agenda è completamente riempita, se lo vogliamo veramente, è possibile aggiungere più appuntamenti, più cose da fare».
Subito gli allievi del Sommo Professore fecero sì con la testa. Qualcuno approfondì il concetto: ‘è vero, non sappiamo ottimizzare il tempo’, ‘dobbiamo essere più efficienti’, ‘il tempo c’è ma noi non lo vediamo’...

Grande Vecchio restò impassibile: guardò Piccolo Uomo, come per invitarlo a intervenire.
Piccolo Uomo si era fatto serio: gli sembravano giusti i commenti che stava sentendo. Perché Grande Vecchio non era d’accordo?

«Avete guardato solo a quello che è successo», disse Grande Vecchio dopo qualche secondo. «Non basta».

Il Sommo Professore era confuso.

Trascorse qualche minuto mentre il gruppo parlottava nel tentativo di farsi venire la risposta. Poi Piccolo Uomo ebbe un lampo: «Bisogna guardare a come il vaso è stato riempito».
Grande Vecchio lo incoraggiò con lo sguardo soddisfatto. 
E Piccolo Uomo continuò: «Bisogna partire dai sassi pesanti. Se non li mettiamo per primi, non riusciremo più a metterli dopo. Solo così riempiremo davvero il vaso.»

«Già», concluse il Sommo Professore, parlando a voce alta come tra sé e guardando davanti, per terra, per cercare di rendere la riflessione più profonda. 
«I sassi pesanti. Le cose importanti della vita. Poi, attorno a loro, vanno messe le altre, le cose via via meno importanti. Prima le pietre, poi la ghiaia, poi la sabbia, infine l’acqua. Così riempiamo il vaso, così riempiamo la vita».

Il Sommo Professore rialzò la testa e guardò nella direzione di Grande Vecchio, per ringraziarlo dell’apprendimento.

Ma Grande Vecchio era sparito. 
Dalla parte opposta dello spiazzo era seduto su un masso, a contemplare il tramonto.

*** Massimo Ferrario, 2005 - Rielaborazione originale di un racconto anonimo.


2 commenti:

  1. è una favola molto istruttiva, che hai arricchito e resa più profonda, aggiungendo elementi di riflessione. Ne risulta una storia molto piacevole da ascoltare e d'effetto, sicuramente preziosa!
    Se dovessi assegnare un ruolo in questa favola, naturalmente ti assegnerei il ruolo di Grande Vecchio (e qui l'età sarebbe solo uno scherzo del tempo), il luogo dell'incontro e questo blog, dove si trovano tantissime cose d'apprendere. Io sarei un intruso fuori dalla storia, nascosto dietro ai cespugli, alla ricerca di conoscenza.
    Un caro saluto
    Francesco

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  2. Pensa, Francesco, che Grande Vecchio l'ho immaginato, con la mia prima favola accanto a Piccolo uomo, ben 15 anni fa: quando ancora la 'nonnità' non sapevo cosa fosse.
    Ed è stata la prima favola che con cui ho inaugurato Mixtura (#Favole&Racconti, 'Piccolo Uomo, Grande Vecchio e la domanda', 24 dicembre 2014, http://masferrario.blogspot.it/2014/12/favole-racconti-piccolo-uomo-grande.html).
    Confesso che con il passare degli anni guardo a Grande Vecchio con affetto crescente e, sì, un po' di desiderio di identificazione, almeno segretamente, lo accarezzo.
    Però so che l'dentificazione è impossibile. E sarebbe anche presuntuoso credere di poterla raggiungere.
    Grande Vecchio è un po' il mio ideale che racchiude saggezza orientaleggiante e vita a contatto con la natura: e per me, che di fatto non posso che dirmi 'occidentale', con tutti i difetti (oltre che qualche virtù) degli occidentali, e che sono nato e cresciuto in mezzo al cemento della città, senza sapere cosa siano i passaggi di stagione che la natura sa segnalare, questa figura resta particolarmente suggestiva.
    Grande Vecchio è ciò che io non sono e che, in parte, mi piacerebbe essere. L'altra parte dell'ossimoro di cui sono costituito. E che contribuisce a rendermi, almeno dal mio 'punto di vista' (e, ancor più, dal mio 'punto di sentimento'), ricco delle contraddizioni che so di avere.

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