Ottanta anni fa, nel 1936, in Italia gli iscritti all’Università erano meno di centomila. Alla fine del Novecento erano 1.700.000; se ne laureavano 140.000 ogni anno e l’85% dei laureati era fuori corso. Nell’anno accademico 2014-15 si sono immatricolati 70.000 studenti in meno rispetto a dieci anni prima. L’Università di Catania, ad esempio, ha perso il 20% delle matricole. I media parlarono di fuga dall’università e ne attribuirono la causa al rifiuto dei giovani, senza rendersi conto che il calo dipendeva dai tagli finanziari e dal “numero chiuso” introdotto come se avessimo un eccesso di studenti universitari, mentre ne siamo pericolosamente a corto. Fatti cento i giovani di età universitaria, in Italia solo 34 sono iscritti all’Università, contro i 74 degli Stati Uniti. Mentre noi introducevamo il numero chiuso, in Germania, per incoraggiare l’immatricolazione, rendevano gratuito il primo triennio.
In base al recente rapporto Res/Unicredit, tra il 2008 e il 2014 il finanziamento pubblico agli atenei italiani è stato ridotto del 22% (mentre in Germania aumentava del 23%); i docenti e il personale tecnico sono stati ridotti del 17%. Oggi la nostra spesa statale e regionale per borse di studio è di 280 milioni; in Germania è di 2 miliardi e così pure in Francia. Ancora più smaccato è il gap se si considerano le sole regioni meridionali. Nel nostro Sud la spesa pubblica per l’istruzione universitaria è di 99 euro per abitante contro i 305 della Francia e i 332 della Germania.
Quest’anno, per la prima volta dal 2003, gli iscritti sono aumentati in tutte le università italiane in cui è stato abolito il numero chiuso o sono stati introdotti incentivi: ad esempio +0,8% la Statale di Milano, +3% la Cattolica, +8% Padova, +11% Catania, +19% Politecnico di Bari, +22% Parma. Dunque, non esiste nessuna fuga dalle università, ci sono giovani desiderosi di proseguire gli studi dopo il diploma e ci sono famiglie disposte a dissanguarsi per far studiare i propri figli.
E’ la componente politica dello Stato che non riesce a comprendere la priorità assoluta dell’istruzione.
*** Domenico DE MASI, sociologo, saggista, Il gap dell'istruzione, linkedin.com/pulse, 28 gennaio 2016, qui
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