Non mi piace il termine 'capitale umano'.
Le persone, gli individui presi singolarmente o insieme, sono un valore di per sé.
La ragioneria è altro. E quando interviene strumentalizza.
Non lo fa perché è 'cattiva': ma perché il suo mestiere è dare valore monetario alle 'cose'.
Alle risorse. Tutte.
E quindi anche a quelle umane.
Anche a costo di dimenticare (come infatti continua ad avvenire) che sono persone. Individui.
Forse pure risorse, ma particolari: attive (e non solo re-attive) e, sperabilmente, pensanti.
Non mi dispiace la definizione di 'capitale umano' data dall'Ocse: è l'insieme di «conoscenze, abilità, competenze e altri attributi degli individui, che facilitano la creazione di benessere personale, sociale ed economico».
Qui i soldi non c'entrano.
Poi però ritornano.
Ad esempio, secondo Enrico Marro ('ilSole24ore.it', 30 settembre 2015, qui) il valore pro-capite maschile è pari a 453mila euro; quello femminile è quantificato in circa la metà, cioè 231mila euro.
Secondo l'Istat la differenza maschi-femmine è data dalle differenze di remunerazione, ma anche dal fatto che le donne lavoratrici sono meno degli uomini e conservano un impiego per un numero minore di anni.
Se invece si prendessero in esame anche le attività fuori mercato, ecco che le donne si aggiudicherebbero un valore di 431mila euro, quasi pari a quello maschile.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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RispondiEliminaquando "capitale umano" e "risorse umane" saranno banditi dal vocabolario allora, forse, vivremo in un mondo a dimensione umana.
RispondiEliminaPiù che d'accordo, Bruno. Per ora, e da tempo e sempre più, la dimensione è economica. Il punto è che per capire questa banalità bisognerebbe essere un po' più umani. È un circolo chiuso: quasi impossibile da rompere.
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