Pochi istanti prima di violentare una bambina di dodici anni, il combattente dello Stato islamico si è preso il tempo per spiegare che quello che si apprestava a fare non era peccato: poiché la ragazzina professava una religione diversa dall'Islam, il Corano non solo lo autorizzava a stuprarla, ma lo approvava e lo incoraggiava. Le ha legato le mani, poi si è inginocchiato accanto al letto e si è prostrato in preghiera, prima di stendersi sopra di lei; una volta finito, si è inginocchiato per pregare nuovamente. "Io continuavo a dirgli che mi faceva male, lo supplicavo di fermarsi. Lui mi diceva che secondo l'Islam era autorizzato a violentare una miscredente. Mi diceva che violentandomi si avvicinava a Dio", racconta la ragazzina accanto ai suoi familiari, in un campo profughi in cui è riuscita a scappare dopo undici mesi di prigionia.
Lo stupro sistematico di donne e bambine della minoranza religiosa degli yazidi è diventato un elemento cardine dell'organizzazione e della teologia estremista dello Stato islamico, da quando, un anno fa, il gruppo ha annunciato di voler riportare in auge l'istituzione della schiavitù. Il commercio di donne e bambine yazide ha creato un'infrastruttura permanente, con una rete di capannoni dove le vittime vengono tenute prigioniere, stanze di esposizione dove vengono ispezionate e vendute, e una flotta di pullman usati appositamente per trasportarle.
L'anno scorso sono state sequestrate complessivamente 5.270 yazide, e almeno 3.144 di loro sono ancora nelle mani degli aguzzini dell'Is. Per gestire queste schiave sessuali, il Califfato ha creato un dettagliato apparato burocratico. La pratica è diventata un solido strumento di reclutamento, per attirare uomini provenienti da società islamiche profondamente tradizionaliste, dove il sesso occasionale è un tabù ed è proibito uscire con una ragazza. "Ogni volta che veniva a violentarmi, pregava", dice F., una ragazza di quindici anni catturata sulle pendici del monte Sinjar un anno fa e venduta a un combattente iracheno di poco più di vent'anni. Ha chiesto di essere indicata solo con l'iniziale del suo nome per la vergogna originata dallo stupro. (...)
Una donna yazida di 34 anni, comprata e ripetutamente violentata da un combattente saudita, ha raccontato che se la passava meglio della seconda schiava del miliziano, una ragazzina di dodici anni stuprata per giorni e giorni di fila, nonostante sanguinasse copiosamente. «Le ha distrutto il corpo. Aveva una brutta infezione. Il miliziano continuava a chiedermi: "Perché ha un odore così cattivo?". E io gli dicevo: "Ha un'infezione, devi curarla". L'uomo non si è fatto minimamente commuovere e ha ignorato le strazianti sofferenze della bambina, continuando a violentarla e a mettere in atto il suo rituale di preghiera prima e dopo ogni stupro. "Gli ho detto: "È solo una ragazzina"", ricorda la donna. "E lui ha risposto: "No. È una schiava".»
*** Rukmini Maria CALLIMACHI, 1973, giornalista rumena, premio Pulitzer per il giornalismo internazionale, Donne e bambine schiave: così i jihadisti impongono la "teologia dello stupro", traduzione di fabio Galimberti, 'la Repubblica', 14 agosto 2015
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