Che dignità c’è, e soprattutto che utilità, in una leadership (politica, televisiva, aziendale, culturale) che conforma il proprio pensiero e le proprie azioni al già detto, al risaputo, al convenzionale?
Come diavolo possono formarsi le classi dirigenti e le élites, i dirigenti politici e gli artisti, i creatori di linguaggio e i maestri di vita, in una civiltà che ha scelto per sé un’unità di misura strutturalmente volgare, pregiudizialmente banale e soffocante come ‘i gusti della gente’?
Quegli scarti di senso, quelle intuizioni quasi divinatorie che scaturiscono dalla solitudine e dalla disobbedienza, dove mai possono attecchire in un mondo che stronca sul nascere tutto ciò che è ‘troppo difficile’ o ‘troppo diverso’?
*** Michele SERRA, giornalista e scrittore, Quanti danni in nome della gente, ‘la Repubblica’, 9 settembre 2003.
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