sabato 7 gennaio 2017

#SENZA_TAGLI / La ricchezza, la deflazione, la bussola (Alessandro Gilioli)

Per molti anni, in passato, il dibattito economico tra sinistra e destra è stato sulla "creazione" versus la "distribuzione" delle ricchezze.

A destra, come noto, si sosteneva che distribuire troppo la ricchezza prodotta mortificava la creazione della stessa; in altre parole, che le ricette di sinistra finivano per redistribuire solo povertà.

Io non credo, come alcuni, che questa teoria sia stata una creazione a tavolino dei "ricchi" per avere l'alibi di non ridistribuire: anzi, in passato è stata vera, è successo così. Bisogna dirlo in onestà intellettuale. Il cosiddetto socialismo reale è fallito (anche) per questo.

Adesso forse - dopo trent'anni in cui ha avuto l'egemonia culturale e politica - la destra economica dovrebbe interrogarsi sul contrario, tuttavia. Specie in Italia e in tempi di deflazione.

Dovrebbe interrogarsi cioè sull'ipotesi - che a me sembra molto suffragata dai dati di realtà - che l'eccesso di concentrazione della ricchezza a sua volta soffochi la produzione della stessa.

Ad esempio, deprimendo i consumi.

Ma anche provocando quella parcellizzazione sociale (il tutti contro tutti tra categorie e tra fasce che stanno in basso) che è il contrario della coesione sociale; e che a sua volta provoca sfiducia e scarsa progettazione del futuro, cioè le condizioni ideali per una spirale di recessione.

Forse ci si potrebbe anche utilmente chiedere, da quelle parti, se la "flessibilizzazione" a lungo evocata (ad esempio, la licenziabilità e il precariato estremo) alla fine ha effetti più negativi che positivi: perché chi non ha un minimo di certezza del reddito non consuma, non fa girare la macchina dell'economia. Quindi l'imprenditore, tutto contento perché può assumere e licenziare a piacimento anche solo per un'ora, poi si scopre un po' meno contento perché nessuno compra più nulla.

Negli ultimi trent'anni la sinistra ha fatto profonda e spesso fondata autocritica sugli errori dei suoi dogmi economici; un'autocritica che ha talvolta portato la sinistra stessa a sposare incondizionatamente e acriticamente la visione opposta. Il governo Renzi, in questo, è stato emblematico - anche se non certo l'unico né il primo: ha scommesso cioè tutto sugli imprenditori, ha dato loro miliardi di euro in incentivi e mani libere nel mercato del lavoro, ha applicato in modo quasi religioso le teorie classiche della destra economica sperando che producessero una ripresa dellla dinamica produzione-consumi. Risultato, siamo in deflazione: non credo che sia troppo aggressivo dire che quella scommessa è clamorosamente fallita.

A proposito: non è ancora alle viste alcuna autocritica della destra economica né di chi, pur provenendo da altra storia, i dettami di quella destra ha sposato: benché questi abbiano portato non solo alla crisi iniziata nel 2008 ma anche al disastro sociale-civile contemporaneo, ai Trump e alle Le Pen, alla cieca rivolta dei ceti medi impoveriti e senza bussola.

Eppure, forse, oggi - con i dati di realtà inoppugnabili sulla enorme concentrazione di ricchezze che è avvenuta negli ultimi trent'anni e sulla situazione drammatica in cui troviamo, anche in termini di stabilità e prospettive comuni - si potrebbe avanzare l'ipotesi che redistribuire un po' sia utile non solo a chi se ne avvantaggia direttamente, ma a tutto il sistema economico.

E sì, credo che sia questo il principale dibattito da fare nel 2017, in Europa e in Italia.

*** Alessandro GILIOLI, giornalista e saggista, La ricchezza, la deflazione, la bussola, 'piovono rane', 'L'Espresso', 6 gennaio 2017, qui


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1 commento:

  1. Bella analisi di Alessandro Giglioli ma non so se la soluzione sia quella giusta. E' vero che si è concentrata tanta ricchezza nelle mani di pochissimi, ma il problema delle politiche è proprio dato dal fatto che le imprese non stanno affatto bene (a parte poche eccezioni). Magari stanno bene i loro manager (ma quello è un altro problema), ma le imprese non hanno tanto da ridistribuire (altrimenti sarebbe bene anche le banche che prestano i soldi alle imprese). Allora la soluzione mi pare un altra. D'accordo sul fallimento delle politiche adottate. Ma il tema in gioco mi pare questo: tutti noi (formatori, imprese, politici e giornalisti) abbiamo il compito di progettare una nuova società. Nessuna ci aveva mai dato questo compito prima. Tutto sommato fino a 10-20 anni fa la società industriale del 900 aveva portato più benefici. Ora è in crisi. Ma non sono in crisi le aziende o le singole politiche. E' in crisi il modello di sviluppo. E' in crisi la società. E di conseguenza le aziende che continuano a proporre servizi e prodotti noiosi che non interessano più a nessuno (il calo dei consumi non è solo legato all’incertezza del domani ma a qualcosa di più profondo). Ecco il compito per la politica (e giornalisti, formatori, imprese ecc). Pensare ad un nuovo modello di società: limitarsi a ridistribuire significa mantenere l’impianto attuale che evidentemente non funziona.

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