Mai cambio della guardia fu più carico di significati. Il pronipote di schiavi sembrava un principe. Il miliardario americano sembrava un miliardario americano, prototipo umano che specialmente nella versione di Trump — decisamente estrema — è la cosa meno simile a un principe mai vista sotto il cielo. Il suprematismo bianco ne usciva a pezzi, il nuovo presidente ne è il peggior testimonial possibile. Si poteva intuire, risalendo per li rami, che il cow-boy bisavolo di Trump, quando entrava nel saloon con lo stuzzicadenti in bocca, non era molto più chic del bisavolo di Obama nei campi di cotone. E almeno gli avi di Obama cantavano il blues, e non quel terribile country con la giacca bianca piena di frange.
Per fortuna la cerimonia è stata un unicum, e non è previsto che i due si facciano vedere assieme altre volte: rischierebbe di nascerne un deplorevole quanto inevitabile suprematismo nero. Interverrebbe, per rimediare, il politically correct: «Non chiamateli “bianchi”, poverini, non sta bene definire una persona dal colore della pelle. Chiamateli euroamericani». Se euroamericani non è abbastanza patriottico, si può provare con “americani di mezzo”, o medioamericani: quelli che sono arrivati lì dopo i Sioux e prima dei cinesi.
*** Michele SERRA, giornalista, scrittore, l'amaca', 'la Repubblica', 22 gennaio 2017, qui
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