Si sta diffondendo una opinione che trovo pericolosa.
Dice che di fronte alle tendenze popolar-populiste sempre più marcate, in Europa e negli Usa, sanzionate dal voto elettorale (Brexit, Trump, ecc...), occorra prestare uno 'strano' rispetto che consiste, sostanzialmente, non solo nel prendere atto, doverosamente, di quanto avvenuto e delle conseguenze, legittime, che le elezioni comportano (uscita della Gran Bretagna dall'Europa e Trump nuovo presidente Usa), ma pure nell'astenersi dall'opporsi, avendo in sostanza, e ancor di più mostrando, un atteggiamento comprensivo e accomodante sia verso la persona che ha vinto che verso i contenuti, politici e valoriali, di cui la maggioranza si fa paladina.
Insomma, il must che sembra uscire da questo punto di vista, a mio parere non così democratico come viene fatto credere, pare imporre di non valutare negativamente, e anzi benevolmente accettare, il nuovo vento, magari facendo in fretta a cambiare/adattare i convincimenti contrari per meglio andare, aiutati dalla nuova aria che spira, incontro appunto al nuovo vento che le masse hanno deciso di sollevare e far vorticare.
Se questo non viene fatto, si aggiunge più o meno esplicitamente, si rischia la caduta in quella deriva elitaria, incapace di capire e rappresentare la volontà della maggioranza profonda di un Paese, la quale è appunto la causa prima del trend popolar-populista in atto.
Insomma, il must che sembra uscire da questo punto di vista, a mio parere non così democratico come viene fatto credere, pare imporre di non valutare negativamente, e anzi benevolmente accettare, il nuovo vento, magari facendo in fretta a cambiare/adattare i convincimenti contrari per meglio andare, aiutati dalla nuova aria che spira, incontro appunto al nuovo vento che le masse hanno deciso di sollevare e far vorticare.
Se questo non viene fatto, si aggiunge più o meno esplicitamente, si rischia la caduta in quella deriva elitaria, incapace di capire e rappresentare la volontà della maggioranza profonda di un Paese, la quale è appunto la causa prima del trend popolar-populista in atto.
Chiarisco, ad evitare equivoci: in democrazia, se si è democratici, si accettano le regole del gioco e chi vince sul piano elettorale ha il diritto/dovere di governare. Un diritto/dovere che nessuno può conculcargli, salvo la eventuale messa in atto successiva, da parte del vincitore, di comportamenti contrari alla legge, o addirittura di violazione dello stesso assetto costituzional-democratico.
Su questo, naturalmente, non devono esserci dubbi. E almeno io non ne ho.
Mi pare tuttavia altrettanto evidente che la vittoria elettorale legittima il potere, ma non assegna ad alcuna maggioranza alcuna (inesistente) Verità assoluta.
Nel caso della Brexit, ad esempio, in cui un voto referendario, obbligatoriamente ridotto ad un secco 'dentro/fuori', ha sancito l'uscita dall'Europa, è stato sciolto un dilemma decisionale e il risultato ora, giustamente, obbliga la Gran Bretagna ad applicare il verdetto. Ma questo non chiude la discussione sull'opportunità della decisione popolare, né può zittire, in nome del rispetto democratico, chi continua a pensarla diversamente e magari vuole incidere, dicendo la propria, sui modi di uscita, minimizzando, dal proprio punto di vista, gli effetti negativi di una decisione avversata ma rivelatasi minoritaria.
Ancor più deve essere garantito il dissenso a chiunque dopo il voto presidenziale Usa: in cui non era in discussione una specifica scelta referendaria, ma venivano votati una persona e una politica, le cui decisioni operative, per quanto enunciate nei programmi, con maggiore o minore precisione, sono ora tutte da completare e da compiere (e altre opzioni, com'è logico impossibili da preventivare in sede di campagna elettorale, saranno da assumere al momento, magari anche al di fuori del quadro politico generale su cui si è chiesto il voto).
Dunque chi ha perso conserva il diritto-dovere di esprimere dissenso e di opporsi, anche organizzando ogni manifestazione pacifica pubblica di piazza, nei confronti di chi ha vinto, senza che questo significhi di per sé insulto o messa in mora della democrazia o, peggio ancora, tentativo di sovvertire il risultato delle urne.
Del resto democrazia è discussione, contrasto, conflitto: anche perché non esistono punti fermi definitivi e chi ha vinto oggi può perdere domani, proprio perché i perdenti di oggi possono influenzare, con le loro critiche e le loro idee alternative, le elezioni future.
Mi pare tuttavia altrettanto evidente che la vittoria elettorale legittima il potere, ma non assegna ad alcuna maggioranza alcuna (inesistente) Verità assoluta.
Nel caso della Brexit, ad esempio, in cui un voto referendario, obbligatoriamente ridotto ad un secco 'dentro/fuori', ha sancito l'uscita dall'Europa, è stato sciolto un dilemma decisionale e il risultato ora, giustamente, obbliga la Gran Bretagna ad applicare il verdetto. Ma questo non chiude la discussione sull'opportunità della decisione popolare, né può zittire, in nome del rispetto democratico, chi continua a pensarla diversamente e magari vuole incidere, dicendo la propria, sui modi di uscita, minimizzando, dal proprio punto di vista, gli effetti negativi di una decisione avversata ma rivelatasi minoritaria.
Ancor più deve essere garantito il dissenso a chiunque dopo il voto presidenziale Usa: in cui non era in discussione una specifica scelta referendaria, ma venivano votati una persona e una politica, le cui decisioni operative, per quanto enunciate nei programmi, con maggiore o minore precisione, sono ora tutte da completare e da compiere (e altre opzioni, com'è logico impossibili da preventivare in sede di campagna elettorale, saranno da assumere al momento, magari anche al di fuori del quadro politico generale su cui si è chiesto il voto).
Dunque chi ha perso conserva il diritto-dovere di esprimere dissenso e di opporsi, anche organizzando ogni manifestazione pacifica pubblica di piazza, nei confronti di chi ha vinto, senza che questo significhi di per sé insulto o messa in mora della democrazia o, peggio ancora, tentativo di sovvertire il risultato delle urne.
Del resto democrazia è discussione, contrasto, conflitto: anche perché non esistono punti fermi definitivi e chi ha vinto oggi può perdere domani, proprio perché i perdenti di oggi possono influenzare, con le loro critiche e le loro idee alternative, le elezioni future.
Certo, sono gli elettori che 'decidono'. Benché talvolta (e anche questo non va sottaciuto) altri, improvvisandosi leader capipopolo, facciano credere al popolo di decidere, ricorrendo alla strumentalizzazione e alla seduzione: fingendosi difensori degli oppressi e dei 'dimenticati' e insultando l'establishment per meglio continuare a godere dei vantaggi dello stesso establishment, al quale da sempre congenitamente appartengono e con il quale peraltro da sempre 'gozzovigliano'.
Ma se è assodato che né i vincitori né gli sconfitti alle urne posseggono la Verità (maiuscola), ne consegue che tutti possono (e debbono) concorrere a cercare le loro verità (minuscole), da proporre e far condividere in ogni possibile futura competizione democratica, costruendo visioni e politiche diverse da quelle sancite dal voto appena effettuato, anche con il contributo di chi non è convinto delle ragioni di chi al momento è maggioranza.
E questo lo si ottiene discutendo e confliggendo: non certo stando zitti o chinando il capo.
Ricorderei infine che negli anni della prima metà del secolo scorso sia Hitler che Mussolini salirono al potere conquistandosi la legittimazione al governo in regolari elezioni democratiche.
Se andò come sappiamo fu anche perché nessuno si mise 'contro vento': non solo dopo la virata dittatoriale di entrambi, quando sicuramente era più difficile farlo (ma non pochi lo fecero), ma anche prima, quando ancora il regime democratico, almeno dal punto di vista formale, lo avrebbe consentito.
Anche allora operò il malinteso della ragione di per sé attribuita alla maggioranza in funzione appunto della maggioranza conquistata. E qualcuno confuse (o gli risultò comodo confondere) la voce del popolo (che talvolta è voce di qualche demagogo che parla a suo nome) con la voce di Dio (da sempre spesso usata da chi neppure crede in Dio e comunque spesso tirata in ballo per giustificare l'ignavia, l'indifferenza e il più rassicurante starsene alla finestra).
Insomma, a me pare che prendere posizione anche contro chi ha vinto regolarmente le elezioni, se si hanno idee e visioni diverse, non sia per nulla antidemocratico: antidemocratico è non farlo.
*** Massimo Ferrario, Democrazia è anche opporsi a chi ha vinto, per Mixtura.
Sul tema si veda anche, in Mixtura: Enrico Mentana (qui), e Francesco Erspamer (qui)
In Mixtura ark dei miei #SPILLI qui
Ma se è assodato che né i vincitori né gli sconfitti alle urne posseggono la Verità (maiuscola), ne consegue che tutti possono (e debbono) concorrere a cercare le loro verità (minuscole), da proporre e far condividere in ogni possibile futura competizione democratica, costruendo visioni e politiche diverse da quelle sancite dal voto appena effettuato, anche con il contributo di chi non è convinto delle ragioni di chi al momento è maggioranza.
E questo lo si ottiene discutendo e confliggendo: non certo stando zitti o chinando il capo.
Ricorderei infine che negli anni della prima metà del secolo scorso sia Hitler che Mussolini salirono al potere conquistandosi la legittimazione al governo in regolari elezioni democratiche.
Se andò come sappiamo fu anche perché nessuno si mise 'contro vento': non solo dopo la virata dittatoriale di entrambi, quando sicuramente era più difficile farlo (ma non pochi lo fecero), ma anche prima, quando ancora il regime democratico, almeno dal punto di vista formale, lo avrebbe consentito.
Anche allora operò il malinteso della ragione di per sé attribuita alla maggioranza in funzione appunto della maggioranza conquistata. E qualcuno confuse (o gli risultò comodo confondere) la voce del popolo (che talvolta è voce di qualche demagogo che parla a suo nome) con la voce di Dio (da sempre spesso usata da chi neppure crede in Dio e comunque spesso tirata in ballo per giustificare l'ignavia, l'indifferenza e il più rassicurante starsene alla finestra).
Insomma, a me pare che prendere posizione anche contro chi ha vinto regolarmente le elezioni, se si hanno idee e visioni diverse, non sia per nulla antidemocratico: antidemocratico è non farlo.
*** Massimo Ferrario, Democrazia è anche opporsi a chi ha vinto, per Mixtura.
Sul tema si veda anche, in Mixtura: Enrico Mentana (qui), e Francesco Erspamer (qui)
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