venerdì 8 gennaio 2016

#RITAGLI / Islamofobia, l'uso strumentale (Zibeb El Rhazoui)

(...) Chi di noi è sopravvissuto lo deve al caso, ora abbiamo un dovere. Charlie deve sopravvivere. I valori per cui ci battiamo non consentono compromessi. Siamo in guerra con persone che non vogliono uccidere solo noi, ma anche quello che rappresentiamo. Se molliamo, cosa resta? Oggi uccidono giornalisti a Parigi perché disegnano Maometto, domani potrebbero eliminare chi non ha pregato cinque volte al giorno, o in qualche altra parte del mondo, chi beve una birra o una donna che mostra i suoi capelli. (...)

Questi criminali si definiscono musulmani e ci hanno condannato giudicandoci non musulmani. Applicano i dettami della Sharia.

[D: Ci spieghi?]
La giurisprudenza sunnita ha quattro “scuole”, in Francia prevale la dottrina Maliki, perché è la più diffusa in Paesi africani come Senegal, Mali, Algeria, Marocco e Tunisia. Gli ulema (gli uomini di legge coranica) di tutte e quattro le scuole, in effetti, dicono la stessa cosa: chi ha insultato il profeta deve essere ucciso senza dare la possibilità di redimersi, pur sapendo che l’espressione “insultare il profeta” non è chiara. Faccio solo degli esempi, per capirci: se io dico che la sua faccia ha la pelle nera, è un insulto e devo essere uccisa. Se dici che i suoi vestiti sono sporchi, idem. Certamente nell’Islam ci sono insegnamenti che incoraggiano a essere positivi e generosi. Vale per tutte le religioni, ma ci sono anche passaggi che spingono ad uccidere. È impossibile non vedere tutto questo. Come il fatto che questa ideologia criminale è finanziata dai potenti dell’Arabia Saudita e del Qatar. (...)

[D: Pensa che questa violenza sia intrinseca ai monoteismi?]
Penso che tutte le religioni, anche i monoteismi, e molte ideologie, siano fonte di violenza. Come il nazismo, il comunismo sotto Stalin o Pol Pot. Per quel che riguarda l’Islam il problema non è il Corano che è semplicemente un libro scritto molti secoli fa e in un certo con- testo storico. Il problema è se un movimento politico come i Fratelli musulmani, divenuto partito che siede nel Parlamento egiziano, sostituisce la Costituzione con l’Islam. Gli integralisti non credono nella democrazia, pensano che si debbano applicare non le leggi degli uomini ma quelle di Dio. Un mio collega diceva che anche un libro di cucina, se preso alla lettera, può diventare micidiale: ti uccido se metti due cucchiai di zucchero invece di tre come è scritto! Il Corano contiene i pensieri di un beduino di quindici secoli fa. Possiamo leggerlo come opera letteraria, ma è un guaio se viene usato per il governo di una nazione. Lo stesso si può dire della Bibbia. (...)

[D: Alcuni intellettuali davanti al vuoto della politica, sostengono che le religioni debbano entrare nel dibattito pubblico. E accusano di razzismo chi critica le religioni. Lei cosa ne pensa?]
Questo mi porta a parlare di Islamofobia. Il termine fu usato da un mullah iraniano ed è rimbalzato nella dialettica democratica occidentale. Serve per chiudere la bocca a chi critica l’Islam. D’altro canto, se islamofobia significa temere l’Islam radicale, penso sia legittimo. Boko Haram in Nigeria ha fatto stragi, ucciso bambini. Mi pare normale averne paura. Ma questo non significa essere razzisti verso i musulmani. Anch’io sono cresciuta nella cultura musulmana, ma il mio modo di pensare è completamente diverso e per molti aspetti opposto. Io sono atea. Nelle teocrazie musulmane, anche negli stati più moderati come l’Egitto e l’Algeria dove l’Islam è al governo, hanno strumenti legali (e non) per metterti a tacere, ti mettono in prigione, ti ammazzano. Nei Paesi secolarizzati non hanno strumenti legali, perciò usano l’unico che hanno a disposizione, ovvero accusarti di islamofobia. Lo fa anche certa sinistra, ma è un’impostura intellettuale. Dire alle persone che criticare dogmi religiosi scritti secoli fa nel deserto del Sahara vuol dire essere razzisti, è inaccettabile.

[D: Bisogna saper criticare senza attaccare la persona?]
Certo. Faccio un esempio: io sono contraria al velo, penso sia una prigione per le donne ma non significa che critichi chi lo indossa. Una cosa è criticare un dogma o decostruire una credenza, altra cosa è attaccare la persona. Quando critico anche aspramente l’Islam non voglio colpire le persone che si definiscono musulmane. Per me razzismo è quello di certi scrittori di sinistra che per non essere accusati di razzismo, accettano per gli altri quello che non vorrebbero per se stessi. Razzismo è pensare che siccome quelle persone appartengono ad un’altra cultura non sono in grado di condividere i valori universali di libertà e di uguaglianza.

*** Zineb El RHAZOUI, scrittrice e giornalista franco-marocchina, collaboratrice del giornale 'Charlie Hebdo', sfuggita all'attentato del 2015, intervistata da Simona Maggiorelli, Un anno fa è sopravvissuta all’attentato di Charlie Hebdo, oggi Isis la minaccia, 'left', 4 gennaio 2016

LINK intervista integrale qui

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