Quando io desidero imparare desidero anche essere valutato e, come spesso si usa dire anche nella retorica valutazionista, ‘valorizzato’, per capire meglio, per mettermi alla prova, per migliorare. Ma si capisce che questa è una logica opposta a quella che guida l’ossessiva e ideologica fatica ingegneristica dei valutatori e degli schedatori.
La valutazione dovrebbe essere fatta quando è chiaro che chi impara la può tollerare senza disturbare la sua partecipazione attiva e positiva al processo di apprendimento, quando è da questi desiderabile. Non prima, e mai all’inizio: ogni ‘imprinting’ valutativo insinua l’idea che in quel processo formativo tale elemento sia primario e che quindi nei confronti di esso e del suo superamento vadano indirizzate tutte le proprie risorse, anziché alla sperimentazione aperta e flessibile, alla ‘capacità di attendere e di sbagliare senza disperarsi’ (*), all’accettazione del vuoto e alla ‘tolleranza dell’incertezza’ che sempre si accompagnano a processi di apprendimento degni di questo nome.
*** Paolo MOTTANA, docente di filosofia dell’educazione all’università di Milano Bicocca, Miti d’oggi nell’educazione. E opportune contromisure, Franco Angeli, Milano, 2000. – (*) Vedi: Salzberger, Wittenberg et al., L’esperienza emotiva nei processi di insegnamento e di apprendimento, Liguori, Napoli, 1987.
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