Leggo su facebook: «Paragonare e assimilare per sminuire la Shoà: non capisco se è antisemitismo, ignoranza o cretinismo. Opterei per il cretinismo et ultra».
Certo, l'Olocausto è un 'unicum'.
Mai era avvenuto nella storia del mondo che venisse teorizzata, programmata e realizzata la distruzione di un intero popolo, considerato 'razza inferiore'.
Non è il numero degli sterminati, almeno 6 milioni, che pure ha già di per sé dell'incredibile, a rendere il fatto eccezionale anche solo a livello di pensiero. Ma la pianificazione intenzionale, strategica, lucida, fredda, teorizzata del loro assassinio in quanto 'non-uomini'. Anzi, 'sotto-uomini'. Impossibilitati ad appartenere, per geni ereditari, alla 'razza' dei 'super-uomini' che intendeva arrogarsi il diritto di dominare il mondo.
Dunque, ogni paragone con altri stermini (e dio sa quanti ce ne sono stati, e ce ne sono, nella storia del mondo) è sminuente.
Tuttavia, sarebbe altrettanto sminuente, per gli altri milioni di sterminati nel mondo, se ci fermassimo a commemorare 'solo' l'Olocausto, così rimuovendo il nocciolo duro e irremovibile di violenza, e di 'fascismo psico-culturale, che abita dentro di noi e che noi spesso alimentiamo, impedendoci di essere, finalmente, ognuno di noi verso ognuno di noi, homo homini homo.
Sarà forse anche fastidioso ma a me sembra indispensabile ricordare, noi a noi stessi e proprio nel Giorno della Memoria, che il nazismo e i campi che gasavano, con ordine ed efficienza tayloristica, milioni di esseri umani ridotti a cosa, sono sorti in Europa: nella culla della civiltà occidentale e nella coltissima Germania.
Qui l'Islam, gli orientali, gli africani, gli 'altri' non c'entrano.
Gli assassini siamo stati noi.
Così come siamo sempre stati noi, occidentali ed ex-europei (tanto per fare un esempio che però non dovrebbe essere tra parentesi), che abbiamo distrutto l'intera popolazione dei nativi americani: non un Olocausto, ma un altro eccidio di cui non dovremmo smettere di vergognarci se solo sapessimo ricordare (ma qui non mi pare ci sia un giorno della memoria) e non fossimo campioni di rimozione e di autoassoluzione.
In questo senso, allargare la riflessione alle violenze, disumane ma tanto umane, che noi umani (e spesso, troppo spesso, anche noi occidentali) abbiamo praticato e continuiamo a praticare nel mondo può essere fondamentale: non toglie nulla all'orrore e alla dignità dell'Olocausto, ma aggiunge qualcosa di essenziale, a mio parere, al bisogno sempre più impellente di una presa di coscienza di tutti noi come esseri umani.
La violenza non si azzera: ma anche così si argina.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
Sul Giorno della memoria, segnalo questo bel commento di Ugo Morelli che risale al 2008, ma è sempre attuale:
RispondiElimina"Un certo disagio si fa strada e conviene esprimerlo. Quel disagio ha a che fare con il rapporto tra il rumore delle parole e la forza del silenzio. Parlare di un fenomeno o di un problema è uno dei modi più importanti per capire e fare i conti con la realtà, da parte di noi esseri umani. Parlare esige misura, però, e attenzione al rapporto tra dicibile e indicibile. Primo Levi ha scritto ne “I sommersi e i salvati”, che “più si allontanano gli eventi, più si accresce e si perfeziona la verità di comodo”. Ha poi aggiunto che non si dovrebbe mai dimenticare che gli unici autorizzati a parlare di quanto è accaduto dovrebbero essere i morti. Ora Levi era troppo fine per non sapere che i morti non parlano. Dobbiamo ricavarne un monito... " http://www.polemos.it/conflictnow/read_news.php?id=167 .