Il richiamo, durante il discorso di fine anno, del Presidente della Repubblica alla necessità di contrastare l'evasione fiscale e la denuncia di "ambiguità" culturali e politiche sul tema da parte della direttrice dell'Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, in Parlamento, riaccendono l'attenzione su un fenomeno che resta allarmante. Vale la pena rifare i conti: secondo i dati forniti dall'ultimo Documento di economia e finanza, l'evasione delle quattro maggiori imposte - Iva, Irpef, Ires, Irap - nel 2013 era intorno ai 91 miliardi di euro. A questa somma va aggiunta l'evasione contributiva, che porta la cifra intorno ai 120 miliardi, senza considerare l'evasione dell'Imu - che pure esiste - e che lo stesso governo calcola in 5,5 miliardi. Fenomeno che non sempre viene portato alla ribalta è quello dell'evasione delle accise: è curioso notare come sulla carta in Italia ci sia un parco auto circolante di 41 mila veicoli, mentre quello della Francia è di 39 mila veicoli. Tuttavia, nonostante abbia meno macchine in strada, la Francia consuma più benzina dell'Italia (50mila milioni annui di litri contro i nostri 35mila).
L'evasione fa male all'economia e la Confindustria lo ha denunciato recentemente: se solo metà delle risorse che mancano all'appello del Fisco fossero impiegate per ridurre le tasse, il Pil crescerebbe del 3,1 per cento e ci sarebbero 335 mila occupati in più. La questione aperta resta dunque il metodo da adottare nella battaglia contro gli evasori. Si ricorderanno le parole di Berlusconi che di fatto giustificava l'evasione, di fronte alla forte pressione fiscale, e quelle di Monti che invece malediceva gli evasori dicendo che avrebbero consegnato "pane avvelenato" ai propri figli.
Il passo in avanti, che ci può consentire di uscire dall'impasse ideologica, è come al solito, la rivoluzione elettronica. I mezzi tecnologici ci sono: la nostra Anagrafe tributaria, ad esempio, è ormai piuttosto forte al pari del mitico algoritmo britannico "Connect": dall'estate dello scorso anno dispone delle giacenze medie di tutti i conti correnti e ogni movimento sospetto fa scattare la lampadina rossa. Questo meccanismo, insieme a strumenti come il redditometro, consentiranno di monitorare incongruenze critiche tra quanto dichiarato, quanto posseduto e tenore di vita.
Cosa si può fare di più? Il colpo finale, e soprattutto indolore, sarebbe quello di creare un ambiente dove non si può più evadere, e dunque non c'è bisogno di reprimere e paradossalmente anche di controllare. L'informatica lo permette. Oggi si evadono 40 miliardi di Iva, perché non si fattura. Un professionista o un fornitore possono rilasciare al cliente o all'acquirente una fattura indifferentemente di 500 o 50 euro senza registrarla e dunque contando di non essere mai "pizzicato". Così possono omettere di dichiarare parte dei ricavi ed evitare di versare all'erario l'Iva che hanno incassato dal cliente, tanto non c'è la possibilità di incrociare i dati tra chi emette e chi acquista. La soluzione è ormai a portata di mano: fu già sperimentata nel 2006 e diede buoni frutti. Si tratta di obbligare ogni operatore economico a trasmettere via Internet le fatture emesse all'Agenzia delle Entrate, che le trasmetterà al cliente per riscontrarne la veridicità. Una sorta di uovo di Colombo che renderebbe assai difficile l'evasione. Il governo ci ha pensato: le norme sono state varate nella delega di riforma fiscale, ma il meccanismo non è obbligatario e partirà solo dal 2017. Uno sforzo in più, come ha chiesto la direttrice dell'Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, non sarebbe male.
*** Roberto PETRINI, giornalista e saggista, Evasione fiscale, serve lo scatto: obbligo di trasmettere le fatture via Internet, 'la repubblica', 22 gennaio 2016, qui
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