I racconti della notte di Capodanno di Colonia mi hanno fatto venire i brividi. Mi sono ricordata di quelle giornate passate nelle piazze egiziane tra il 2011 e il 2013, durante gli eccitanti mesi della caduta di Mubarak e dei sogni di una libertà a venire.
Le piazze si riempivano e svuotavano di folle immense: molte donne e tanti tantissimi giovani uomini. Man mano che la primavera egiziana diventava sempre di più la “primavera del fondamentalismo” diminuiva il numero delle donne. E quelle poche erano per lo più velate. La piazza poco prima del colpo di stato inscenato da al-Sisi nell'estate del 2013 era diventata il principale centro di sfogo di una gioventù maschile repressa: uomini poco più che ventenni a cui l'Islam proibiva non solo rapporti sessuali ma financo un bacio al di fuori del matrimonio. Per loro qualsiasi donna sola in pubblico, ancora più se occidentale, era “zona libera”, libera di essere mangiata con gli occhi, di essere palpeggiata e, nei casi peggiori, e sempre solo in gruppo, di essere stuprata.
In quei mesi una reporter americana venne violentata durante un servizio. Decine di altre giornaliste donne, anche egiziane, tastate nelle parti più intime. La polizia non interveniva mai, ansiosa di dimostrare che solo un ritorno della dittatura militare avrebbe ripristinato l'ordine nel Paese. La mia fixer, una bella e coraggiosa quarantenne egiziana, a volte si rifiutava di accompagnarmi in giro per Il Cairo. Lei nelle mani di queste bande di stupratori fuori controllo c'era già finita una volta e aveva avuto la faccia tosta di raccontare la sua storia in televisione. Ma non voleva ritentare la sorte.
Io avevo preso a camminare con le mani appoggiate sul mio sedere: all'interno stringevo stuzzicadenti prelevati dai tavoli dell'albergo e, ogni qualvolta qualcuno provava ad allungare una mano, li affondavo nella loro carne, cogliendoli di sorpresa. A volte lanciavo anche qualche calcio coi miei scarponi da montagna per sottolineare il messaggio. Metodi casarecci, certo, però molto efficaci. Indispensabili, direi.
Ma lo strumento di cui non avrei mai potuto fare a meno è stato il più banale: una buona dose di sfrontataggine, imparata da ragazzina sulle spiagge italiane. Chi come me è cresciuta negli anni Ottanta non potrà avere evitato quelle lunghe occhiate, commenti sessualmente espliciti e fischi ripetuti lanciati dai nostri coetanei di allora. Ci siamo pressocché nate e abbiamo imparato a farci i conti. Ad esserne lusingate, a mettervi fine con uno sguardo se necessario, a giocarci se dell'umore. Siamo cresciute in un ambiente che discriminava sì le donne ma non era tanto violento e misogino quanto quello arabo di oggi. A nessuna di noi è mai venuto in mente di coprirsi o di scappare. Reagivamo in qualche modo. E nel farlo crescevamo più forti.
Alle donne arabe di oggi invece è insegnato per lo più di nascondersi e di velarsi per non essere infastidite e di cercare l'aiuto di un altro uomo. Nessuno insegna loro a cavarsela da sole. Si vedono e sono viste come creature delicate da proteggere dalla violenza fisica degli uomini. Gli uomini a loro volta crescono nell'idea che le donne sono creature troppo deboli per affrontare il mondo da sole e che dunque non dovrebbero avventurarsi nel mondo non accompagnate, pena la perdita del “rispetto” dell'altro sesso.
Si tratta di una visione della donna che ha sempre più presa anche tra i musulmani d'Europa e che dunque deve essere riconosciuta e corretta se non vogliamo nuove generazioni di fanciulle europee impaurite, timorose di viaggiare. La favola medioevale della principessa e del drago è cosa passata.
In un'Europa composta anche da tanti musulmani di prima o seconda generazione la visione che l'Islam ha della donna non può più essere sorvolata o evitata per paura di essere tacciati di razzismo. La società europea, come a suo tempo ha fatto quella americana, deve darsi un comportamento sociale omogeneo che deve essere rispettato da tutti, al di là di ogni credo o provenienza. La donna in Europa ha la stessa considerazione di un uomo. Nessun uomo ha il diritto di aggredirla fisicamente e restare impunito. La polizia deve arrestare coloro che perpetuano questi crimini, sgominare le bande che li commettono. Solo se le regole son chiare e fatte rispettare si eviterà una controversa dissertazione sulla bontà dell'apertura delle porte agli immigrati di origine araba e atti di discriminazione generalizzata.
*** Federica BIANCHI, giornalista, La fanciulla e il drago, blog 'donne come noi', 'L'Espresso', 7 gennaio 2016, qui
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