Un vecchio criterio ci ha indotto a pensare che sia giusto preparare i laureati selezionandoli in funzione del mercato del lavoro, una soluzione cosiddetta meritocratica, non una visione per preparare il futuro. Se abbiamo costruito l’Autostrada del Sole quando le auto erano poche, a maggior ragione oggi dovremmo aprire l’università ai giovani per prepararci allo shock in atto nella conoscenza, pure in mancanza di una domanda specifica. Infatti, se negli anni Sessanta la scuola dell’obbligo si fermava alla terza media, oggi il diritto dei cittadini – lavoratori si sposta all’asticella dell’istruzione superiore. Lo troviamo tra gli obiettivi prioritari per la crescita della Comunità Europea: “Portare nell’anno 2020 la percentuale dei 30-34enni con una istruzione universitaria almeno al 40%“. Mentre tradizionalmente il confronto con gli altri paesi europei ci vede nelle ultime posizioni e il target previsto dalla Ue per l’Italia è solo del 27%.
Un programma vitale perché i mestieri futuribili (astroteacher, robotician, digital architect…), le stesse professioni tradizionali come l’avvocato o apparentemente più semplici (venditori, modellisti) richiedono livelli di conoscenza superiore. La buona scuola dovrebbe perciò ampliare le opportunità e affrontare il nodo dell’accesso dei meno abbienti al sistema educativo di qualità, la più importante barriera alla mobilità sociale. Verificheremo che tutti in potenza possiedono un talento, non solo coloro che, dotati di risorse economiche e di relazioni, possono accedere e studiare in buone università.
I talenti si formano moltiplicando le opportunità utili a sviluppare le competenze e incentivandole con retribuzioni adeguate. Immaginiamo che la Apple paghi i giovani trainee meglio di quanto le nostre aziende pagano gli stagisti: laureati, con padronanza della lingua inglese, conoscenza del pacchetto Office, intraprendenti, sei mesi di contratto e un rimborso medio di 500 euro mensili! Un influente direttore delle risorse umane, con imbarazzo, mi confermava la situazione peraltro ben nota e aggiungeva che un ingegnere italiano guadagna, una volta assunto, 25mila euro all’anno, mentre le imprese francesi lo pagano 35mila e i tedeschi 40mila. Ma perché un giovane e la sua famiglia dovrebbero investire nella laurea se il ritorno, cioè la probabilità di avere un lavoro migliore moltiplicato per la retribuzione, non paga la differenza rispetto ad altre soluzioni? Un paradosso economico e un problema di competitività che lo stesso governatore della Banca d’Italia richiama puntualmente nei suoi interventi. Evidentemente senza molto successo.
Una classe dirigente si pre-occupa per il futuro della comunità e per fortuna ne abbiamo qualche esempio come l’imprenditore farmaceutico Marino Golinelli o la proprietaria della leader nel packaging, Isabella Seragnoli, che investono in cittadelle per la cultura e la formazione, confermando che uno dei più importanti paesi manifatturieri al mondo non può attestarsi sulla ricetta competitiva del pagare meno la gente. In Gran Bretagna è sorto un movimento delle grandi imprese, chiamato Club del 5%, che si impegnano ad arrivare entro 5 anni ad avere almeno il 5% della forza lavoro con un’educazione superiore.
In realtà, forse ancora più importante è ripensare il senso del termine meritocrazia, un concetto abusato e male interpretato, che invoca la selezione senza assicurare la parità di opportunità all’ingresso. Ma questa è la storia per un prossimo post.
*** Sandro CATANI, consulente e saggista, Giovani e lavoro: l’autostrada per il futuro? Più laureati, meglio pagati, blog 'ilfattoquotidiano.it', 12 ottobre 2015, qui
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