sabato 1 agosto 2015

#LIBRI PIACIUTI / Le incantatrici, di Boileau-Narcejac (recensione di M. Ferrario)

BOILEAU-NARCEJAC, Le incantatrici, 1957, Adelphi, 2015
traduzione di Federica e Lorenza Di Lella
pagine 198, € 18,00, in formato ebook 9,99

Muore il padre, grande illusionista che gira per i teatri d'Europa, e il figlio adolescente, Pierre, fino a quel momento vissuto in collegio lontano dall'affetto della madre Odette, anche lei compagna di spettacolo del padre, si trova gettato nella vita senza sapere che fare. E così, in mancanza d'altro e quasi di necessità, si lascia convincere a tentare il mestiere di mago.
Eguaglierà, e anzi supererà, il successo del padre. Lo aiuterà in questo la madre, quanto mai attiva nell'inventare i giochi e i trucchi delle serate, invischiandolo peraltro in un rapporto di sottile dominazione e buttandolo di fatto nelle braccia di due gemelle, incantevoli e tanto simili da essere indistinguibili, che diventano essenziali per il numero di scena che decreta il trionfo della piccola compagnia.

La storia ruota tutta attorno alla fascinazione esercitata da queste due gemelle su Pierre: le 'incantatrici' diventano per il giovane una vera e propria ossessione, minuziosamente (e talvolta anche un po' troppo ossessivamente) descritta, soprattutto quando scatta l'amore di Pierre per una delle due, Greta. Ma le loro morti improvvise (sembra per suicidio, benché il fedele inserviente della minuscola carovana prima abbia qualche dubbio e poi decida misteriosamente di andarsene), mentre mettono fine al numero per il quale soprattutto la compagnia era richiesta, lasciandola senza lavoro, sconvolgono irrimediabilmente la vita di Pierre. 
Il giovane, distrutto, prima si troverà quasi casualmente ad assumere le sembianze di un automa e poi, con consapevolezza e determinazione, su queste sembianze eserciterà il suo mestiere, provando e riprovando il numero che gli farà raggiungere il vero trionfo: in scena, stralunato e assente, con i movimenti spezzati di una figura meccanica e al rallentatore, farà scomparire e ricomparire le solite carte e palline di ogni prestidigitatore, ma sotto gli occhi attoniti degli spettatori incapaci di scoprire il trucco nonostante la sequenza lenta e frammentata dei gesti in formato fotogramma.

La morte delle 'incantatrici', che ha una sua spiegazione nel finale, dà alla vicenda un nuovo colore. E il lettore può dirsi appagato per lo scioglimento di quel clima di mistero che apre il primo capitolo, in cui un commissario e un ispettore di polizia affrontano l'interrogatorio di un teste enigmatico: neppure due paginette che paiono essere del tutto 'stonate' rispetto all'ambientazione della trama che seguirà.

Un libro piacevole e ben scritto. Che peraltro avrebbe guadagnato in scorrevolezza e tensione se fosse stato alleggerito in alcune parti: perché la storia ha consistenza e invoglia, anche per le atmosfere che crea, ma l'ossessione amorosa del protagonista, che pure ha la sua ragione d'essere nella narrazione e deve giustamente avere una parte non secondaria nell'economia complessiva della vicenda, rischia troppe volte di eccedere, con le sue descrizioni insistite, con la conseguenza di rallentare ritmo e coinvolgimento.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

Per informazioni su Boileau-Nacejac

° ° °
«
«Mettitelo» disse. 
«Adesso?» chiese Doutre sorpreso. 
«Sì, subito! Ludwig è fatto così. Quando ha un’idea non vuole aspettare neanche un minuto». 
Doutre posò il vestito sul divano. 
«Ma è un frac!» esclamò. 
«Certo! L’abito migliore di tuo padre».
Doutre si spogliò e si infilò i pantaloni, impressionato dai galloni di seta lucida. 
«Che ti dicevo!» borbottò Ludwig. «Gli calza a pennello». 
Doutre indossò la giacca, e Ludwig si alzò per tastargli le spalle e controllare come cadevano le maniche.
«Allora?» chiese. 
Odette esitava. 
«Sì» riconobbe. «Forse vale la pena rischiare». 
Istintivamente Doutre aveva infilato le mani nelle tasche dei pantaloni. Vi trovò un oggetto rotondo, che alzò verso la luce. 
«Che cos’è? Una moneta?». 
«Ah!» fece subito Odette. «È il dollaro con cui lavorava lui». 
«È d’argento?» chiese Doutre. 
Ludwig lanciò un’occhiata a Odette, che ebbe un attimo di esitazione. 
«Naturalmente!» disse alla fine. «Tienilo. È tuo. Forse avrai occasione di usarlo» (Boileau-Narcejac, Le incantatrici, Adelphi, 2015)


«Non ci riuscirò mai» mormorò Doutre. 
«Si impara presto, invece. Il difficile è farlo guardando il pubblico, parlando. Bisogna avere braccia elastiche, polsi di gomma e mani veloci come il vento. Ma tu sei suo figlio, no? E lui, se lo avessi visto... Rivestiti. Ora ti mostro l’attrezzatura. Questo è un costume di scena». 
Infilato su un manichino, c’era un frac. Ludwig sollevò i lembi della giacca. 
«Tasche invisibili» spiegò con aria incurante. «Davanti, sotto il gilet, c’è un’altra tasca. Ci si può nascondere un coniglio. E questi supporti agganciati ai pantaloni servono a tenerci palline, uova...». 
«Ma il pubblico...». 
«Il pubblico non vede niente. Devi sempre partire dall’idea che il pubblico viene per farsi ingannare. Puoi fargli credere quello che vuoi, al pubblico. È stupido, il pubblico... Qui ci sono i tavolini... Doppi fondi ovunque, come puoi immaginare... La caffettiera magica... Versa qualsiasi cosa desideri: birra, latte, whisky e, naturalmente, caffè». (Boileau-Narcejac, Le incantatrici, Adelphi, 2015)


Doutre mangiava senza alzare gli occhi dal piatto. Nella sua mente perfezionava il numero, pensava a quando sarebbe stato capace di tenere la testa e il torace immobili mentre faceva sparire le palline o le monete e, al loro posto, tirava fuori dei fazzoletti; certo, non sarebbe stato facile, tutt’altro. Invece di fondere i movimenti in un’azione fluida, avrebbe dovuto scomporli in una serie di gesti disarticolati. E il bello sarebbe stato proprio eseguire in quel modo trucchi che richiedevano grande scioltezza, per i quali era necessario muoversi con la massima disinvoltura. Un prestigiatore automa: era un’idea nuova, qualcosa di mai visto prima. (Boileau-Narcejac, Le incantatrici, Adelphi, 2015)
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