... i giudizi su di lui hanno oscillato come pendoli impazziti all’oscillare delle vicende greche. Cattivo comunista e pessimo debitore prima, nella fase della paura che in qualche modo ce la facesse. Poi schifoso calabraghe quando portava le sue proposte in Europa. Poi di nuovo diabolico agitatore. E poi – qui il colmo, il testacoda – populista quando chiese al suo popolo di esprimersi, cosa davvero incredibile che un capo di governo capace di indire un referendum in sei giorni, portare a votare tutti, e vincere, sia chiamato “populista” anziché “democratico”, ma tant’è.
E poi, ultimo atto della tragedia (là) e farsa (qui): la sconfitta e l’umiliazione, salutate con un boato di gioia. E si capisce, certo. Il tentativo di ribaltare il pensiero unico liberista-monetarista non è riuscito, la paura rientra, chi prova a cambiare il gioco verrà schiacciato senza pietà. Il solito “guai ai vinti”, con una aggiunta di astio e bile: chi temeva uno Tsipras vincente – o almeno non perdente – non si accontenta di vincere, vuole lo scalpo. E così si assiste allo spettacolo indecente di una destra ultraliberista e di una sinistra ultraparacula che gli rimprovera di non averla saputa realizzare, quella rivoluzione che li fece, per qualche minuto, scusate il francesismo, cagare addosso. Amici del Fmi e sostenitori di Schauble che dicono oggi, su Tsipras, le stesse cose dei black bloc greci in rivolta ad Atene: venduto, lacché della Banca Europea.
C’è del furore che si spiega solo così: Tsipras gli aveva messo una fifa blu. E si sa come vanno le cose da queste parti, e lo spiegò bene Michele Serra: che “Preferiamo rassegnarci in compagnia che ribellarci da soli”.
*** Alessandro ROBECCHI, giornalista e scrittore, Tsipras, vogliono anche lo scalpo, 'Il Fatto Quotidiano', 17 luglio 2015
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