Gli uomini che - in teoria - si dicono favorevoli alla parità finiscono - nella pratica - per vivere la leadership femminile come una minaccia. La realtà di un capoufficio o di un capofamiglia femmina fa scattare, inconsapevolmente, il bisogno di farsi rispettare: di più. L'auto assertività dei maschi va poi a incidere sulle donne: che, a loro volta inconsapevolmente, frenano lungo la scala delle ambizioni personali per garantirsi un clima più sereno. In tre mosse si chiude così un cerchio poco incoraggiante per il futuro delle nostre evoluzioni. Ma la consapevolezza, si sa, può aiutare a spezzare la catena delle azioni e reazioni - e coazioni a ripetere.
E' questo lo spirito che anima la relazione di una ricercatrice, Ekaterina Nerchaeva, legata all'Università Bocconi di Milano: il suo lavoro, pubblicato sul 'Personality and Social Psichology Bulletin', fa riferimento a tre esperimenti realizzati in gruppi misti sottoposti a una specifica "pressione di genere".
Uno di questi vedeva un gruppo di 76 individui americani, di cui 24 femmine e 52 maschi, discutere un aumento di stipendio con un proprio superiore. Se il superiore era femmina, il maschio subordinato si sentiva chiamato a chiedere una cifra media di 49.400 dollari; se il colloquio avveniva con un altro maschio 42.870 dollari potevano bastare. Per le femmine nessuna differenza e comunque pretese minori: 41.346 dollari.
Siamo fortunati/e perché tutto questo viene raccontato e calcolato. Niente dibattito, dunque, lasciamoci andare. Le donne capo possono non pensare di dover alzare i toni per farsi rispettare; gli uomini non capo pure.
*** Barbara STEFANELLI, giornalista, Esperimenti di (dis)parità, blog 'IoDonna', 25 luglio 2015
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