Paradossalmente, viviamo in una società che ha diminuito le ore ufficiali di lavoro, almeno in certi settori, ma che in realtà richiede un impegno molto più pesante. Questo capita soprattutto nel terziario, che non a caso rappresenta il settore dove lo stress da lavoro è più diffuso. Oggi, a fronte di uno stipendio e di una possibile, ma non garantita, gratificazione personale, l’azienda richiede performance, adattabilità, completa disponibilità. In una società sempre più competitiva e agguerrita la richiesta di essere più veloci, più efficaci, più bravi genera nell’individuo molta ansia, insicurezza, vulnerabilità. Con un conflitto stressante tra il desiderio di essere riconosciuti e valorizzati come persone, di avere anche spazio per sé e le i proprie aspirazioni, e la realtà di un mondo produttivo in cui conta solo il risultato.
[Da tutto questo dunque nasce sofferenza?]
Certo, una sofferenza profonda. Che è psicologica, perché il sovraccarico oggi è soprattutto mentale, non fisico. Una volta, i problemi erano legati al mondo industriale, alla fabbrica, alle condizioni dell’ambiente di lavoro sul piano fisico, agli incidenti con le macchine. Oggi, in un’epoca in cui il lavoro vuol dire soprattutto relazione interpersonale, la sofferenza psicologica nasce dai problemi legati a queste relazioni. (...)
È importante che ogni individuo valuti il proprio grado di coinvolgimento personale. Non bisogna dimenticare che il modello dell’azienda per cui si lavora è un sistema di efficienza, non affettivo. L’azienda non è e non deve essere una famiglia. E se essere coinvolti emotivamente nel lavoro è un bene, perché ci fa lavorare meglio e più volentieri, investire troppo, dal punto di vista affettivo, è rischioso. Occorre quindi essere pronti a cambiare azienda, se diventa necessario. E ricordare sempre che c’è anche dell’altro, nella nostra vita.
*** Renato GILIOLI, direttore del dipartimento di medicina e sicurezza sul lavoro della clinica Luigi Devoto di Milano, intervistato da Alessandra Callegari, ‘Psychologies Magazine Italia’, ottobre 2005
Nessun commento:
Posta un commento