(...) Recentemente un amico, maschio, ha affrontato un colloquio di lavoro. Chi conduceva il colloquio era un uomo, giovane, intorno ai 40. Il lavoro era interessante, motivante. Si trattava di viaggiare molto, con parecchie notti fuori casa.
Il mio amico, giovane, con bimbi piccoli e una moglie che lavora, ha chiesto chiarimenti su quante notti si riteneva che dovesse passare fuori casa e su quali introiti gli avrebbe garantito il lavoro. In piena onestà, ha spiegato che la sua frequente assenza da casa gli crea qualche difficoltà sia perché considera la paternità un valore da tutelare sia perché avrebbe creato disagi alla moglie e probabilmente la moglie avrebbe dovuto ridurre il suo impegno lavorativo, con conseguente danno economico.
Frasi del tipo
“Di che ti preoccupi? Anch’io ho bimbi piccoli, ma ci pensa mia moglie”
"Non mi dirai che ti fai condizionare da tua moglie nelle tue scelte lavorative?"
" Perché ti preoccupi del lavoro di tua moglie? Quanto vuoi che guadagni?"
hanno evidenziato che non solo mancava ogni rispetto per la professionalità femminile, ma anche che l’attenzione verso la moglie faceva perdere punti, secondo la logica che il vero uomo decide da solo mentre la moglie subisce.
Così la discriminazione si avvia a colpire non solo le donne, ma anche quegli uomini che hanno compreso il valore della famiglia, della paternità e della condivisione delle decisioni all’interno di una coppia.
Andiamo indietro, e tra un po’ ci troveremo a discutere se la donna ha l’anima o no.
Cerchiamo almeno di fare in modo che tutto questo non diventi normale: continuiamo ad indignarci!
*** Carla FIORENTINI, consulente, formatrice, saggista, Di male in peggio - Femminilità in cammino, blog 'chingecoaching' (senza data)
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