Francesco COSTA, Orrore vesuviano, Bompiani, 2015
pagine 293, € 18,50, formato ebook €9,99
Uno strano impasto, questo cucinato da Francesco Costa: ma senz'altro invitante, sin dall'inizio. Lo assaggi e quanto più procedi nella degustazione, tanto più ti 'prende' il palato. Poi, mentre te lo rigiri in bocca, divorandolo boccone dopo boccone, la buona scelta che hai fatto dal menu ti viene confermata. Ma è alla fine, quando sei già abbondantemente soddisfatto e pronto a classificare il piatto tra i decisamente più meritevoli che ti è capitato di gustare, che subisci il colpo a sorpresa: quello che ti fa dire che davvero il cuoco conosce il mestiere e sa scegliere e dosare tutti gli ingredienti anche per sorprendere e lasciare, di lui e del piatto, un ricordo indelebile.
L'impasto è dato dall'integrazione molto ben equilibrata fra uno stile affabulatorio e 'favolistico', sorretto da un linguaggio abbondante, colorito, leggero e spesso spassosamente ironico, e la sostanza di una storia misteriosa, che, tra il 'giallo' e il 'noir', colleziona strani delitti che ruotano attorno a mamma Aurelia e al figlio Luca.
Lei, giovane e di una bellezza sfolgorante, vende fiori e fa impazzire gli uomini; lui, un bambino di dieci anni, odia qualunque spasimante di lei perché vorrebbe la mamma tutta per sé e intanto sogna di diventare da grande il ras di Orrore Vesuviano, il paesino del Napoletano in cui si concentrano, anche caricaturati, tutti i vizi della peggiore Italia (malaffare, conformismo, egoismo menefreghista, servilismo verso il camorrista che spadroneggia).
Lei, giovane e di una bellezza sfolgorante, vende fiori e fa impazzire gli uomini; lui, un bambino di dieci anni, odia qualunque spasimante di lei perché vorrebbe la mamma tutta per sé e intanto sogna di diventare da grande il ras di Orrore Vesuviano, il paesino del Napoletano in cui si concentrano, anche caricaturati, tutti i vizi della peggiore Italia (malaffare, conformismo, egoismo menefreghista, servilismo verso il camorrista che spadroneggia).
Ulteriore fattore di seduzione, tenera e sottile, è rappresentato dal taglio della narrazione: che è in terza persona, ma il 'punto di vista' (e, soprattutto, il 'punto di sentimento') è come fosse costantemente affidato all'io narrante del bambino. L'intera trama scorre filtrata dalle azioni e dai pensieri messi in campo da Luca: dalle sue fantasticherie, dai suoi propositi, dai suoi vissuti. Ma il tutto avviene in scioltezza e fluidità estrema: niente psicologismi, soltanto un monologare interiore tipicamente infantile, 'fresco', anche umoristico, che semina coinvolgimento e non può che produrre una tenera simpatia anche verso i personaggi meno simpatici del racconto.
Si è detto dei protagonisti, madre e figlio. Ma colpiscono anche le fotografie, nitide e vivide, delle figure che disegnano il paesaggio. E il paesaggio umano, scolpito con pennellate vivaci e colori intensi, suggerisce pensieri amarognoli, quando non avvilenti, sul costume italiano.
Certo, il paesino al centro della storia, fin dal nome (Orrore Vesuviano: i cui abitanti sono detti, di conseguenza, 'orridi vesuviani'), ha tratti macchiettistici. Come sappiamo, tuttavia, il macchiettismo estremizza aspetti della realtà, rendendoli grotteschi, ma non li inventa.
E dunque, se arriva qualche spunto di meditazione, mentre giriamo le pagine, non è poi male. Anche perché i pensieri che la lettura qua e là suscita sono pensieri veloci, appena abbozzati e restano tutto sommato 'esterni': incapaci di 'disturbare' il filo del piacere 'gratuito' indotto da una vicenda in cui, aspetti 'noir' a parte, siamo progressivamente catturati dal taglio narrativo, disinvolto, sciolto, spiritoso.
Ed è una cattura gradevole: che si scioglie solo nel finale, quando, con un po' di nostro disappunto, ci restituisce a noi stessi, regalandoci una conclusione toccante e lasciandoci in bocca un retrogusto dolceamaro.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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Camilla chiede: “A che pensi?”
Lo scruta con l’aria comprensiva in cui le femmine avviluppano i maschi da addomesticare. Gli rovista fra i pensieri con la naturalezza con cui cercherebbe in una credenza un apriscatole o un frullino per sbattere le uova. Lui però non è mica un cassetto, diavolo, e d’istinto mette sotto chiave indecisioni e scrupoli per impedire a quell’impicciona di indovinare lo scontento che lo insidia.
“Non penso a niente. Ci vediamo domani a scuola.” (Francesco Costa, Orrore vesuviano, Bompiani, 2015)
Lo scruta con l’aria comprensiva in cui le femmine avviluppano i maschi da addomesticare. Gli rovista fra i pensieri con la naturalezza con cui cercherebbe in una credenza un apriscatole o un frullino per sbattere le uova. Lui però non è mica un cassetto, diavolo, e d’istinto mette sotto chiave indecisioni e scrupoli per impedire a quell’impicciona di indovinare lo scontento che lo insidia.
“Non penso a niente. Ci vediamo domani a scuola.” (Francesco Costa, Orrore vesuviano, Bompiani, 2015)
Il padre di Gennaro, roteando gli occhi, si avvicina al padre di Teresa e gli urla senza ritegno cose oscene sul muso.
“Lo vedi come trema il povero figlio mio, e in quali condizioni lo ha ridotto quell’incosciente di tua figlia? Ci vuole un barbaro coraggio a lasciare un innamorato dopo ben sei anni di fidanzamento! E pareva pure una ragazza a posto. Non ha pensato al dolore che gli stava dando?”
Al dolore che Gennaro ha dato a Teresa, lasciandola stesa sull’asfalto caldo, curiosamente non pensa nessuno. Anzi, c’è chi si commuove al pensiero che il povero ragazzo le ha piazzato in corpo sei proiettili, uno per ogni anno di fidanzamento, e quest’attenzione alla simmetria non prova forse abbastanza quanto le fosse affezionato?
Il barista Cuccurullo accorre a portare un cognac a Gennaro che ancora non apre bocca, anche perché a prendere le sue parti ci pensa suo padre.
“Mio figlio a Teresa le voleva bene, altrimenti mica le sparava. È serio, lui, e non ammazzerebbe certo una squinzia qualunque…”
Su questo concordano tutti: la gente fa di sì con la testa, come i ciucci, e si fa venire un groppo in gola quando al padre di Gennaro si spezza la voce per il troppo sentimento.
“Mio figlio ha sparato a Teresa, credetemi, perché dentro il cuore non teneva a nessun’altra…”
A questo punto, il padre di Teresa pare quasi convinto che a massacrarla le si è fatto un grande onore, o che la figlia in fondo se l’è voluta, e poco manca che chieda scusa all’altro per l’incomodo che quella stupidella gli ha creato. Sentendosi addosso gli sguardi di tutti, perché c’è mezzo paese a guardarlo, Gennaro fiuta il momento opportuno per una crisi di nervi e si mette a ragliare. “
Teresa mia, quanto ti ho voluto bene…” (Francesco Costa, Orrore vesuviano, Bompiani, 2015)
“Lo vedi come trema il povero figlio mio, e in quali condizioni lo ha ridotto quell’incosciente di tua figlia? Ci vuole un barbaro coraggio a lasciare un innamorato dopo ben sei anni di fidanzamento! E pareva pure una ragazza a posto. Non ha pensato al dolore che gli stava dando?”
Al dolore che Gennaro ha dato a Teresa, lasciandola stesa sull’asfalto caldo, curiosamente non pensa nessuno. Anzi, c’è chi si commuove al pensiero che il povero ragazzo le ha piazzato in corpo sei proiettili, uno per ogni anno di fidanzamento, e quest’attenzione alla simmetria non prova forse abbastanza quanto le fosse affezionato?
Il barista Cuccurullo accorre a portare un cognac a Gennaro che ancora non apre bocca, anche perché a prendere le sue parti ci pensa suo padre.
“Mio figlio a Teresa le voleva bene, altrimenti mica le sparava. È serio, lui, e non ammazzerebbe certo una squinzia qualunque…”
Su questo concordano tutti: la gente fa di sì con la testa, come i ciucci, e si fa venire un groppo in gola quando al padre di Gennaro si spezza la voce per il troppo sentimento.
“Mio figlio ha sparato a Teresa, credetemi, perché dentro il cuore non teneva a nessun’altra…”
A questo punto, il padre di Teresa pare quasi convinto che a massacrarla le si è fatto un grande onore, o che la figlia in fondo se l’è voluta, e poco manca che chieda scusa all’altro per l’incomodo che quella stupidella gli ha creato. Sentendosi addosso gli sguardi di tutti, perché c’è mezzo paese a guardarlo, Gennaro fiuta il momento opportuno per una crisi di nervi e si mette a ragliare. “
Teresa mia, quanto ti ho voluto bene…” (Francesco Costa, Orrore vesuviano, Bompiani, 2015)
Aurelia Scala, contrariamente a quanto lui crede, non è andata a letto. S’è rinserrata in camera sua e ha acceso una candela. Ha deciso di restar sveglia tutta la notte e di accendere una candela nuova ogni volta che se n’è spenta un’altra per seguire gli eventi e nel frattempo riflettere su Dio. Se Massimo Amoroso sarà accoppato, lei non metterà più piede in chiesa. La decisione è irrevocabile: è assurdo confidare in un Creatore che si vanta, stando a quanto dicono i preti, di aver creato l’uomo a propria immagine e somiglianza. Se quest’aberrazione avesse un fondamento, che cos’altro se ne potrebbe desumere se non che Dio è un puzzone e un criminale, esattamente come la maggioranza degli uomini che comandano quaggiù? (Francesco Costa, Orrore vesuviano, Bompiani, 2015)
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In Mixtura le mie recesioni a #LibriPiaciuti qui
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