Donatella Di Pietrantonio
"L'Arminuta", Einaudi, 2017
Pagine 162, € 17,50, ebook € 8,99
Ritrovare un'identità
Lei è l'"arminuta": il soprannome per dire che è 'ritornata'.
Ma non sa perché e deve capire dove è ritornata: perché di fatto è stata 'restituita' e si trova all'improvviso a dover ricostruire tutta se stessa, dando un nuovo senso alla sua identità di bambina sconvolta, ormai priva di riferimenti.
Abbandonata dalla vecchia famiglia, senza una ragione chiara (forse la mamma sta male, sarà ricoverata, magari muore), si vede riconsegnare come un pacco alla madre biologica: che non ha mai conosciuto e di cui neppure sospettava l'esistenza.
Vissuta in città, abituata agli agi di una famiglia piccolo-borghese, coccolata dagli affetti delle amiche e dalle abitudini della quotidianità scolastica, viene gettata da un giorno all'altro a convivere, in una casa piccola nell'entroterra abruzzese, piena di fratelli, con una 'nuova' madre (la 'vera' madre), burbera e spigolosa, che si industria ogni giorno a trovare il modo di cucire il pasto con la cena, e con un padre operaio, mal pagato e precario, di poche parole e facile a menare le mani con i figli.
Nasce un rapporto immediato, strano ma intenso, emotivamente turbolento ma via via sempre più solido con la nuova sorella, solo di qualche anno più piccola, di notte ancora incontinente: con lei l''arminuta' si ritrova a condividere il letto già dalla prima sera, ambedue stese in posizione rovesciata, le due teste contro i piedi.
E poi colpisce il legame, per cause accidentali fugace e anche per questo quasi irreale, con quello tra i fratelli meglio disposto ad accettare la nuova venuta: una relazione dolce, tenera, che sfiora la dimensione incestuosa, ma sembra concorrere a soffondere sulla storia un'aura che aspira alla poesia.
Insomma: un lungo racconto che potrebbe essere definito un gioiello, se il termine non evocasse, convenzionalmente, lo scintillio allegro, e spesso per questo fastidioso, delle pietre preziose. Qui invece la preziosità - assoluta - è data, oltre che dalla storia, più in bianconero che colorata, percorsa da un filo dolente ma fin dalle prime righe ammaliante anche perché si intuisce aperta al futuro, dalla scrittura, davvero mirabile. Spoglia e scabra, aspra e dimessa, lascia cadere, con misura e incredibile appropriatezza espressiva, termini dialettali abruzzesi dentro un italiano attento, preciso, mai sciatto: sempre contenuto nel trattare le emozioni e proprio per questo quanto mai emozionante.
Un 'bel' libro: potente nella sua asciuttezza, che dice, senza appesantimenti inutili e noiosi, ma con la semplice rappresentazione di una storia ruvida raccontata in prima persona, di come si possa ritrovare, dentro e attorno a sé, il senso di una direzione e di una rinascita.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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A tredici anni non conoscevo più l’altra mia madre.
Salivo a fatica le scale di casa sua con una valigia scomoda e una borsa piena di scarpe confuse. Sul pianerottolo mi ha accolto l’odore di fritto recente e un’attesa. La porta non voleva aprirsi, qualcuno dall’interno la scuoteva senza parole e armeggiava con la serratura. Ho guardato un ragno dimenarsi nel vuoto, appeso all’estremità del suo filo.
Dopo lo scatto metallico è comparsa una bambina con le trecce allentate, vecchie di qualche giorno. Era mia sorella, ma non l’avevo mai vista. Ha scostato l’anta per farmi entrare, tenendomi addosso gli occhi pungenti. Ci somigliavamo allora, più che da adulte. (Donatella Di Pietrantonio, "L'Arminuta", Einaudi, 2017)
La donna che mi aveva concepita non si è alzata dalla sedia. Il bambino che teneva in braccio si mordeva il pollice da un lato della bocca, dove forse voleva spuntargli un dente. Tutti e due mi guardavano e lui ha interrotto il suo verso monotono. Non sapevo di avere un fratello così piccolo.
– Sei arrivata, – ha detto lei. –
Posala, la roba. Ho solo abbassato gli occhi sull’odore di scarpe che usciva dalla borsa se la muovevo appena. Dalla stanza in fondo, con la porta accostata, proveniva un russare teso e sonoro. Il bambino ha ripreso la lagna e si è rivolto verso il seno, colando saliva sui fiori sudati del cotone stinto.
– Tu non chiudi? – ha chiesto secca la madre alla ragazzina che era rimasta immobile. (Donatella Di Pietrantonio, "L'Arminuta", Einaudi, 2017)
Ha rimediato un cuscino per me e siamo entrate in camera senza accendere la luce, gli altri ragazzi respiravano come chi dorme e il sudore di adolescenti era forte. Ci siamo sistemate all’inverso, bisbigliando. Il materasso imbottito di lana di pecora era molle e deformato dall’uso, affondavo verso il centro. Emanava l’ammoniaca delle pipì che lo avevano impregnato, un odore nuovo e repellente per me. Le zanzare cercavano il sangue e avrei voluto coprirmi di piú con il lenzuolo, ma nel sonno Adriana lo tirava in senso opposto.
Un sussulto improvviso del suo corpo, forse stava sognando di cadere. Le ho spostato piano un piede e mi sono appoggiata con la guancia alla pianta fresca di sapone scadente. Ho combaciato quasi tutta la notte con la pelle ruvida assecondando i movimenti delle gambe. Sentivo con le dita i margini irregolari delle sue unghie spezzate. C’erano delle forbicine nei miei bagagli, la mattina dopo potevo dargliele. (Donatella Di Pietrantonio, "L'Arminuta", Einaudi, 2017)
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