Sono in auto, in mezzo al traffico. Lei è seduta dietro e dice: «Papà, perché tu non scrivi mai un testo su qualcuno che volava». Emma ha otto anni e guarda fuori dal finestrino. Il papà di Emma è uno che scrive testi, come dice la figlia, articoli, libri, teatro. È innervosito dal traffico, risponde distratto: così, perché le persone non volano. Il tono di Emma è imperturbabile: «Nei libri che leggo io sì». E chi vola nei libri che leggi tu? «I Barbapapà volano. E poi le fatine volano. E poi Trilly e Peter Pan. E poi ho letto dei bruchi che per volare diventano farfalle. Vale la pena diventare farfalle per volare». Il padre ce l’ ha con due macchine davanti che non si muovono. Altre auto si affiancano. Sono imbottigliati. Emma ha una voce che è una sirena: «Papà». Sì? «Vorrei volare anch’io. Vorrei vivere sulle nuvole».
Il padre incrocia lo sguardo della figlia nello specchietto retrovisore: perché?, chiede. «Prima di tutto perché sulle nuvole non ti fanno male i piedi. Poi perché sulle nuvole sei più leggera. E poi perché volare è il sogno di tutti, almeno credo». Il padre cerca di ricordare se anche lui da piccolo aveva il sogno di volare; se ancora adesso, e non perché sono imbottigliati nel traffico, desidera volare.
«Nessun uomo ci è mai riuscito - continua Emma - Non abbiamo le ali, né la polverina magica. Però io vorrei vedere il mondo dall’alto. Stare su un albero o su una torre non è vedere il mondo dall’alto, è solo vederlo da un albero o da una torre. E non vale». Per volare basta prendere l’aereo, crede di risolvere il padre. «Ma no, papà, l’aereo non è volare». Emma non dice aereo, dice aerio. «Stai dentro una carrozza, dentro una cabina che va in cielo. Sei al chiuso. Ci vuole l’aria addosso per volare».
L’aria addosso, pensa il padre e abbassa i finestrini. La bambina stacca la cintura di sicurezza, fa dei gesti, rotea le braccia. Mettiti la cintura, la riprende il padre. «Non si può volare se si è legati. Nemmeno con il deltaplano voli davvero, perché sei sempre attaccato a qualcosa». Emma non dice deltaplano, dice delpatano. Riaggancia la cintura e sembra soddisfatta: «Il bello di volare è stare nell’aria da soli. È quello che dà la felicità».
Ma come fai a volare se non hai le ali, né la polverina magica?, chiede il padre. Emma ha il viso pieno di lentiggini e, quando vuole, è tutta un sorriso: «Sognandolo», risponde. Sognandolo? Basta sognarlo? Se lo sogni, voli davvero? «Ma dai, papà, non lo sai?, non fare finta - il tono è incredulo e allegro - Nella fantasia sì, nella testa voli davvero!». È sicura, inattaccabile. Il papà si volta e la guarda. Lei fissa il padre con un’espressione stupìta, come a chiedere: che cosa ho detto che non va? Niente che non va. Ha appena detto che sognare è il modo per noi bruchi di diventare farfalle. E volare.
*** Gian Luca FAVETTO, scrittore e giornalista, Noi, bruchi umani che sognando diventiamo farfalle, ‘la Repubblica’, 27 aprile 2013, qui.
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