L’espressione «società multiculturale» e il termine «multiculturalismo» sono utilizzati nel dibattito pubblico per descrivere una condizione caratteristica delle società contemporanee e per richiamare la necessità conseguente di una politica e di un atteggiamento in generale rispettosi del diritto che ciascun individuo ha di praticare le modalità di vita che la propria cultura gli ha insegnato anche se si trova a vivere in un contesto sociale diverso da quello entro cui tale cultura ha avuto origine (oppure, a seconda della posizione, per dichiararne il fallimento). Credo che queste posizioni presentino molte criticità e nella riflessione che segue intendo metterle in luce, sottolineando nel contempo i rischi che si corrono nell’assumere la convinzione che «tutte le culture sono meravigliose» e debbano essere difese in quanto tali. Quantomeno nel fornire forti spunti a chi invece la diversità culturale vorrebbe «asfaltarla». (...)
Il problema, per come viene solitamente posto, è: fino a che punto le culture possono essere tutelate, la diversità può essere rispettata, tutelando e rispettando gli altri diritti fondamentali, per esempio quello delle donne a essere considerate individui liberi, cioè persone, nella piena uguaglianza?
È necessario, per rispondere, estendere la riflessione e toccare un caso estremo, quello delle mutilazioni genitali femminili. Queste pratiche, diffuse in molti paesi dell’Africa, in alcuni del Medio Oriente, e in qualche comunità del sud est asiatico, sono emblematiche di un andamento incerto e ambiguo della fondazione dei diritti umani e della loro applicazione. Esse dividono il fronte fra coloro che sostengono l’universalità dei diritti umani e coloro che invece ne affermano il carattere relativo: anche molti antropologi si sono pronunciati contro le ingerenze nella vita di una popolazione. Si pensa che tali pratiche siano radicate nelle usanze locali, siano parte integrante delle volontà identitarie delle comunità, segnino l’appartenenza; per altri aspetti, sono finalizzate a garantire docilità e fedeltà sessuale delle donne, nel senso che si ritiene che riducano il desiderio sessuale e quindi il rischio di infedeltà; inoltre preparano ai dolori del parto. Sono molte le tesi che spiegano le ragioni culturali delle mutilazioni.
D’altra parte, è noto che il principale vettore delle pratiche di mutilazione sono le vittime stesse: le donne reclamano il loro diritto alla mutilazione, le madri insistono nel sottoporre all’operazione le loro figlie, affinché possano avere un avvenire «normale». Paradossalmente, benché sia fuor di dubbio che le MGF rafforzino il controllo maschile, i maschi se ne disinteressano. Non appaiono esse allora come il riflesso di un «ancestrale», il risultato di «rappresentazioni arcaiche», solo in apparenza locali, tradizionali, culturalmente specifiche?
Ovviamente per me tali pratiche costituiscono delle gravissime violazioni del diritto all’integrità fisica e morale. Né il problema è rimasto un problema «loro», perché anche in alcuni paesi europei di recente si attestano le MGF. Ciò introduce ulteriori elementi di complessità, perché da un lato la giurisdizione europea non può consentire sul proprio suolo, per motivi definiti culturali, attacchi all’integrità della persona; dall’altro una difesa del multiculturalismo potrebbe trovarsi in imbarazzo.
Io credo che qui ci troviamo ben stretti da quella che ho definito «la trappola delle culture»; una trappola dalla quale non è facile uscire. (...)
Il problema, per come viene solitamente posto, è: fino a che punto le culture possono essere tutelate, la diversità può essere rispettata, tutelando e rispettando gli altri diritti fondamentali, per esempio quello delle donne a essere considerate individui liberi, cioè persone, nella piena uguaglianza?
È necessario, per rispondere, estendere la riflessione e toccare un caso estremo, quello delle mutilazioni genitali femminili. Queste pratiche, diffuse in molti paesi dell’Africa, in alcuni del Medio Oriente, e in qualche comunità del sud est asiatico, sono emblematiche di un andamento incerto e ambiguo della fondazione dei diritti umani e della loro applicazione. Esse dividono il fronte fra coloro che sostengono l’universalità dei diritti umani e coloro che invece ne affermano il carattere relativo: anche molti antropologi si sono pronunciati contro le ingerenze nella vita di una popolazione. Si pensa che tali pratiche siano radicate nelle usanze locali, siano parte integrante delle volontà identitarie delle comunità, segnino l’appartenenza; per altri aspetti, sono finalizzate a garantire docilità e fedeltà sessuale delle donne, nel senso che si ritiene che riducano il desiderio sessuale e quindi il rischio di infedeltà; inoltre preparano ai dolori del parto. Sono molte le tesi che spiegano le ragioni culturali delle mutilazioni.
D’altra parte, è noto che il principale vettore delle pratiche di mutilazione sono le vittime stesse: le donne reclamano il loro diritto alla mutilazione, le madri insistono nel sottoporre all’operazione le loro figlie, affinché possano avere un avvenire «normale». Paradossalmente, benché sia fuor di dubbio che le MGF rafforzino il controllo maschile, i maschi se ne disinteressano. Non appaiono esse allora come il riflesso di un «ancestrale», il risultato di «rappresentazioni arcaiche», solo in apparenza locali, tradizionali, culturalmente specifiche?
Ovviamente per me tali pratiche costituiscono delle gravissime violazioni del diritto all’integrità fisica e morale. Né il problema è rimasto un problema «loro», perché anche in alcuni paesi europei di recente si attestano le MGF. Ciò introduce ulteriori elementi di complessità, perché da un lato la giurisdizione europea non può consentire sul proprio suolo, per motivi definiti culturali, attacchi all’integrità della persona; dall’altro una difesa del multiculturalismo potrebbe trovarsi in imbarazzo.
Io credo che qui ci troviamo ben stretti da quella che ho definito «la trappola delle culture»; una trappola dalla quale non è facile uscire. (...)
*** Vincenzo MATERA, antropologo e docente all'università di Milano Bicocca, Chi difende le mutilazioni genitali? È la trappola delle culture, 'Corriere della Sera', '27^ora', 16 aprile 2016
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