E giunse il giorno in cui il vecchio monaco venne chiamato in cielo.
Ad accoglierlo, sul bordo di un aldilà di un azzurro perfetto, illuminato da un sole che carezzava mollemente i volti, l’angelo del paradiso: che si inchinò a lui in segno di saluto e gli sorrise benevolo, facendogli cenno di seguirlo.
«Ti stavamo aspettando», annunciò l’angelo. «La fama della tua santità è giunta sin quassù e tutti vogliono conoscerti».
Il vecchio monaco si schermì:
«Ho solo cercato di vivere in pace con il cielo e con la terra», rispose, congiungendo le mani e chinando il capo come nell’atto tradizionale della preghiera. Quindi mosse i primi passi dietro l’angelo, che stava per imbucarsi in una nuvola bianchissima in cui un cartello indicava appunto ‘paradiso’.
Ma poi il vecchio monaco si trattenne, sfiorando con la mano l’ala soffice del suo accompagnatore.
«Ti posso chiedere un favore, prima di entrare nella nuvola bianca?».
L’angelo si bloccò: «Certo, se posso…».
«Ho sempre avuto una curiosità, laggiù sulla terra: dare un’occhiata all’inferno…».
L’angelo allargò il viso:
«E’ una curiosità di molti. Vieni, facciamo in un attimo: basta cambiare nuvola. Vedi quella nera là sotto? Lasciati andare e fai un salto con me: ecco, così. Adesso però debbo avvisarti: potrai solo guardare, non potrai comunicare con i dannati. Se anche ci proverai, ti uscirà solo fiato inutile dalla bocca».
Il vecchio monaco ascoltò senza capire, poi non ebbe neppure tempo di aver paura per la caduta che gli era stata preannunciata che era già precipitato all’inferno.
Girò lo sguardo a trecentosessanta gradi: vide un salone infinito, che aveva al centro una tavola immensa, imbandita come mai avrebbe potuto essere. Su tovaglie finemente ricamate e in mezzo a stoviglie d’oro e d’argento, c’era ogni tipo possibile di cibo, in quantità enormi e presentato nel modo più ricco e seducente. Tutt’intorno alla tavola, però, strette l’una all’altra, un numero incredibile di persone - smunte, pallide, scheletriche - si lamentavano, piangevano, gridavano, imprecavano, bestemmiavano.
Il vecchio monaco non capiva:
«Ma come è possibile? Perché imprecano e non mangiano con tutto quel ben di Dio che hanno davanti a loro?».
L’angelo indicò le bacchette, lunghissime, in mano ad ogni persona, ma il vecchio monaco continuava a fissare il suo accompagnatore con occhi interrogativi.
Allora l’angelo spiegò:
«Quando arrivano qui, ricevono tutti due bastoncini, uguali a quelli che si usano come posate, solo molto più lunghi: misurano almeno un metro e devono essere rigorosamente impugnati alle estremità. Questo è il vincolo. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca».
Il vecchio monaco riguardò bene tutta quella folla che si dimenava urlando per la fame.
Finalmente annuì: adesso comprendeva tutto.
Gliel’avrebbe detto: ma come facevano a non capire? Prima fece dei gesti per invitare tutta quella gente al silenzio, poi cercò di parlare loro: ma l’angelo gli passò un dito leggero sulla bocca, ricordandogli il divieto.
Era terribile vedere quei poveretti che per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi sotto i denti neppure una briciola di cibo.
Il vecchio monaco scosse la testa, rabbrividendo. Sembrava voler supplicare l’angelo, che come leggendogli nel pensiero, commentò, stringendosi nelle spalle alate:
«E’ l’inferno. Noi non possiamo fare nulla. Andiamo.»
La nuvola bianca del paradiso era un batuffolo che volteggiava a due metri di altezza. L’angelo incitò il vecchio monaco a fare un piccolo salto. Vi si trovarono immersi in un secondo, senza produrre il più piccolo sforzo.
«Ecco», disse l’angelo, «questo è il paradiso».
Il vecchio monaco si guardò attorno.
«Ma è tutto come all’inferno», esclamò.
Infatti, anche qui un salone infinito conteneva una tavolata immensa, coperta da tovaglie finemente lavorate, in cui troneggiavano zuppiere e coppe ricolme di cibi succulenti, deliziosi solo alla vista. Soltanto le persone erano in numero nettamente inferiore, ma avevano le stesse bacchette lunghissime in mano.
«No», corresse l’angelo, «non è come all’inferno. Guarda bene».
Il vecchio monaco osservò meglio: le persone erano pasciute, qualcuna era decisamente grassa. Nessuna gridava, nessuna si lamentava, nessuna piangeva: molte cantavano e ridevano, qualcuna dormiva beata, parecchie in gruppo conversavano felici. E più di una, proprio in quel momento, stava gustando qualche piatto prelibato.
«Già», sospirò il vecchio monaco guardando l’angelo in maniera complice, «ora ho visto bene: questo è il paradiso».
«Infatti», confermò l’angelo.
«All’inferno ognuno, pensando solo a se stesso, mira a prendere il cibo per sé. Cerca di portarselo alla bocca, ma con le bacchette così lunghe non può riuscirci: allora impreca, bestemmia e muore di fame. Qui, al contrario, ciascuno pensa all’altro: prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino».
«Dando si riceve: così nessuno rimane senza cibo», rifletté il vecchio monaco a voce alta.
«Appunto», riprese l’angelo.
«Il problema è che tutti si comportano sempre come sono abituati. Arrivano in cielo dalla terra, ma il cielo non muta la terra: si limita ad avvolgerla, a conservarla. Tutti sono qui quel che sono stati laggiù. Chi è all’inferno, c’era già prima di arrivarci. Così pure per chi è in paradiso».
«Ora finalmente ho capito», ammise il vecchio monaco.
«Veramente mi sembrava tu avessi già capito quando eravamo all’inferno e io ti ho dovuto ricordare il divieto di parlare».
«Sì, ma ora ho compreso la cosa più importante».
«E cioè?», domandò l’angelo, che pure conosceva la risposta.
«Che inferno e paradiso non sono luoghi, come crediamo sempre. Ma comportamenti».
*** Massimo Ferrario, Inferno e paradiso, 2005-2015, per Mixtura - Rielaborazione originale di una famosa favola di tradizione orientale di autore anonimo, anche riportata Jean-Claude Carrière, Il circolo dei cantastorie. Storie, storielle e leggende filosofiche del mondo intero, 1998, Garzanti, Milano, 1998.
Anche in 'tiraccontounafiaba', 19 novembre 2013, qui
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