I politici possono dire quello che vogliono. E anche i cittadini qualunque, al bar o in tram. Ma gli economisti non hanno dubbi: le dimensioni del fenomeno sono troppo grandi per liquidarle con gli aneddoti sui due ragazzi di colore fermi a non far niente sul marciapiede o sulle famiglia araba nell'alloggio di edilizia popolare. Sulla base dei grandi numeri, dunque, gli economisti concludono che gli immigrati che si rovesciano a ondate sulle frontiere europee non sono il problema. Sono la soluzione del problema. Bisogna trovare il modo di sistemarli e di integrarli: un compito inedito, immane, per il quale non ci sono soluzioni facili. Ma le centinaia di migliaia di uomini e donne, giovani, fra i 20 e i 40 anni, spesso con figli al seguito, che si affollano sulle barche, sui treni, sui camion dei disperati sono quello di cui l'Europa ha bisogno. Subito.
Quando Angela Merkel apre le porte della Germania a 800 mila rifugiati, infatti, non spara troppo alto. Spara basso. Facendo un calcolo a spanne, Leonid Bershidsky, su Bloomberg, calcola che l'Europa avrebbe bisogno di 42 milioni di nuovi europei entro il 2020. Cioè domani. E di oltre 250 milioni di europei in più nel 2060. Chi li fa, tutti questi bambini?
I 42 milioni di europei in più sono, infatti, quelli che servirebbero, subito, per tenere in equilibrio una cosa a cui - nonostante quello che hanno affermato in questi giorni leader politici, come l'ungherese Viktor Orbàn - gli europei qualunque tengono, probabilmente, più che alle loro radici cristiane: il generoso sistema pensionistico. Oggi, in media, dice un rapporto della Ue, in Europa ci sono 4 persone in età lavorativa (15-64 anni) per ogni pensionato. Nel 2050, ce ne saranno solo 2. Ancora meno in Germania: quasi 24 milioni di pensionati contro poco più di 41 milioni di adulti. In Spagna: 15 milioni di over 65 a carico di soli 24,4 milioni di lavoratori. In Italia: 20 milioni ad aspettare ogni mese, nel 2050, l'assegno dell'Inps, finanziato dai contributi di meno di 38 milioni di persone in età per lavorare. Le soluzioni non sono molte. O si tagliano le pensioni, o si aumentano i contributi in busta paga o si trova il modo di aumentare il numero di persone che pagano i contributi.
Sarà un paradosso, ma è più facile che, a pagare quei contributi, sia un immigrato, piuttosto che un cittadino italiano. Oggi, la percentuale degli italiani che lavora e porta a casa soldi è pari al 67% della popolazione. Fra chi è venuto qui dall'Asia o dall'Africa, la percentuale è del 72%. Perché ha tolto il posto di lavoro a un italiano? Non parrebbe. Secondo l'Ocse - l'organizzazione che raccoglie i paesi ricchi del mondo - circa il 15% dei posti di lavoro nei settori ad alto sviluppo è stato occupato da un immigrato. In altre parole, dove la concorrenza per il posto è forte, c'è un immigrato ogni 6-7 lavoratori. Nei settori in declino, invece, incontrare un immigrato è quasi due volte più facile: oltre 1 addetto su 4 non è nato in Italia. Detto più semplicemente, gli immigrati tendono ad occupare i posti di lavoro che chi è nato in Occidente preferisce abbandonare. Su quei lavori, pagano le tasse. Senza gli immigrati, il governo Renzi sarebbe, in questo momento, disperatamente alla caccia di quasi 7 miliardi di euro per tappare i buchi della legge di Stabilità. Gli stranieri hanno pagato, infatti, circa 6,8 miliardi di euro di Irpef nel 2014, su redditi dichiarati per oltre 45 miliardi di euro l'anno. La Fondazione Leone Moressa ha calcolato il rapporto costi-benefici dell'immigrazione è, per l'Italia, largamente positivo: le tasse pagate dagli stranieri (fra fisco e contributi previdenziali) superano i benefici che ricevono dal welfare nazionale per quasi 4 miliardi di euro. (...)
*** Maurizio RICCI, giornalista, Lavorano e fanno figli: così i migranti finanziano l'Europa. Per salvare le nostre pensioni servono 250 milioni di rifugiati entro il 2060. Ecco perché per gli economisti sono una risorsa, 'la Repubblica', 8 settembre 2015.
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Sempre in Mixtuta, 1 altro contributo di Maurizio Ricci qui
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