Sawubona. E' il saluto che si scambiano gli indigeni ubuntu, un popolo che vive nell'area sub-sahariana dell'Africa. Ce lo ricorda Peter Senge ad apertura del suo straordinario testo The fifth discipline, Fieldbook (1994) col quale egli progetta una "arena di practice" per mettere in moto le 5 competenze alla base di ogni effettiva learning organisation.
Può la cultura ubuntu trovare posto nella disciplina del management? La risposta è affermativa se comprendiamo la natura profondamente umanistica della gestione degli uomini e della conoscenza. Se confessiamo, soprattutto a noi manager, che in definitiva il management non è una "disciplina". Senge parla di una "quinta disciplina", la capacità di imparare ad imparare, propria degli individui come degli organismi ("organizzazioni"?), meta-competenza che per definizione è la negazione di ogni disciplina...
Sawu bona, dunque. Il saluto ubuntu è l'equivalente del nostro asciutto "salve", "ciao", "hi" per gli inglesi.
Ho avuto un'esperienza di alcuni anni nell'HR Dept di una grande azienda nel Regno Unito. Da meridionale portavo lì più relazionalità che, ovviamente, disciplina. Ma ero il capo del personale e riuscivo a far lavorare gli altri, i miei collaboratori inglesi e scozzesi, obiettivamente più competenti di me. Sì, lo confesso, all'inizio del nuovo millennio, dopo venti anni di esperienza nel sindacale, nel costo del lavoro e nella gestione del rapporto di lavoro, io non sapevo cosa fosse un 360° feedback , un percorso di coaching o un piano di personal development.
Mi rendevo però anche conto dell'evidente contraddizione tra policy di gestione delle persone davvero ben strutturate e carenza di relazione nei rapporti interpersonali e di gruppo. Certo la comunicazione collettiva, tra announcement, roadshow e state of union, era molto frequente, ma formale e sostenuta da accurate veline, talvolta anche corredate di domande e risposte, che impedivano di uscire fuori delle righe. Tra le persone il silenzio. Nell'HR Dept si lavorava immersi in un open space con le teste eclissate dietro i display dei pc. A volte battevo le mani per sentirmi, io che venivo dalla città dell' "ammuina". In realtà questi uomini erano assorbiti dalla posta elettronica: selezionavano, assumevano, formalizzavano premi e retribuzioni, erogavano e tutoravano formazione (rigorosamente e-learning), benchmarkavano metriche e range retributivi, operando in remoto dietro quei grandi display a cristalli liquidi, novità assoluta per noi allora in Italia, che sembravano veri e propri paraventi per nascondere la faccia dietro la scrivania. Un innovativo sistema di gestione delle risorse umane, che potremmo definire "e-HR Management". Salvo poi scoprire che in quella sala addirittura ci si parlava via mail tra colleghi di gomito.
Al mio arrivo in ufficio al mattino continuavo a salutare ogni collega che incontravo e a porgere la mano a quelli più diretti. "Hi" rispondevano affrettati e senza enfasi. Finché un giorno uno di loro si fermò e mi domandò perché io salutassi tutti se ci si era appena visti il giorno prima. Noi salutiamo al lunedì e al venerdì, mi spiegava.
Né la gestione collettiva del personale, dalla cui cultura io provenivo, né la gestione remota e procedurale, benché molto attenta al customer care delle risorse umane, mi convincevano come modello di gestione nelle imprese ad alta intensità di Knowledge.
La lettura di Senge mi fornì però una nuova chiave. Sawu bona, nella lingua ubunto è il saluto corrente, che letteralmente vuol dire "io ti vedo". Ad esso si risponde "Sikhona", che significa "io sono qui".
Ecco, immersi nelle organizzazioni, noi "ci siamo" nella misura in cui "siamo visti". Io sono quando sono nella relazione. E' il principio di identità alla base di ogni scambio. E' il principio alla base di ogni effettiva creazione del valore. Da qui deve partire ogni serio approccio alla gestione delle persone.
*** Francesco PERILLO, già direttore del personale, docente alla università Suor Orsola Benincasa, Napoli, Sawu bona, 'HrOnLine', n. 15, settembre 2015, qui
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