giovedì 9 giugno 2016

#SPILLI / Copia-e-Incolla, senza citare le fonti (M. Ferrario)

Un 'amico' su facebook (le virgolette per il sostantivo usato in rete sono d'obbligo e conta il fatto, non il nominativo) interviene sul social un giorno sì e l'altro pure stigmatizzando il mondo, e in particolare il mondo delle organizzazioni di lavoro e il management
Lo fa con brevi citazioni, di cui spesso riporta l'autore, e con lunghi post firmati da lui.

Naturalmente non ho nulla contro chi stigmatizza, essendo abituato a farlo da una vita e facendolo anch'io in questo momento.
Né ho ragioni per difendere l'ambiente di lavoro che ho frequentato per quarant'anni e che mi ha conosciuto di pensiero eterodosso, poco allineato alla retorica conformista dominante: diversi top manager mi apprezzavano, e pagavano la mia prestazione di consulente, proprio per questo. 
Tuttavia, è chiaro a tutti che se si ha il (sano) vezzo di criticare il contesto in cui siamo, cercando di portare argomenti e prove, per segnalare modelli alternativi di comportamenti e provocare riflessioni conseguenti, l'asticella dello standard delle azioni che ci riguardano deve essere quanto mai alta e la consapevolezza di doversi mantenere il più possibile coerenti non può mai abbandonarci. 
Nessuno è perfetto (per fortuna) e tutti possiamo sbagliare, o rivelarci, nel fare quotidiano, in contraddizione più o meno stridente con il nostro dire abituale: quando me ne accorgo, o qualcuno me lo fa notare, ringrazio e cerco di migliorare. Com'è ovvio, peraltro: a meno di volersi arrampicare sugli specchi o 'proiettare' sugli altri la propria colpa facendoli colpevoli di colpe che non hanno.

L'altro giorno leggo uno dei tanti post lunghi dell''amico': come è capitato spesso, anche questo acuto e stimolante. 
Altre volte, per ragioni di tempo, avevo evitato di fare verifiche. In questo caso, tuttavia, la memoria non mi ha tradito: pochi minuti per cercare tra i libri ultimamente letti e ho individuato il brano. 
Diligentemente copiato, senza indicazione di autore e fonte.
Questo, forse non solo a casa mia, si chiama plagio. 
Il post era seguito da alcuni commenti, tutti positivi. 
In particolare una persona si congratulava con l''amico' e l''amico' rispondeva complimentoso e gongolante («grazie, troppo buona...»).

Mi è sembrato naturale intervenire per indicare autore e fonte e ho aggiunto garbatamente che sarebbe stato necessario segnalare i riferimenti.
L''amico' mi ha risposto che non l'aveva fatto per non annoiare, con le troppe citazioni che pubblicava. 
Alla mia risposta che forse, se pensava di annoiare, poteva risparmiarsi i testi ma non le citazioni degli autori, ha replicato dicendo che facevo il «maestrino severo», poi ha alluso a una presunta mia «gelosia senescente» e quindi mi ha bonariamente consigliato di «rilassarmi perché non siamo venuti al mondo per competere».
Ho stoppato la comunicazione, evitando di rispondere che neppure siamo venuti al mondo per firmare cose scritte da altri e che in genere, se proprio decido di competere, scelgo competitori che vendano farina del loro sacco.

Ho riportato il fatterello perché è un piccolo, ma non banale, segno dei tempi.
Qui in ballo non è la solita casta cattiva dei politici o dei dirigenti che ci sgovernano. 
Qui in ballo siamo solo noi: e c'è spesso davvero poco di civile nella cosiddetta 'società civile' con cui ogni tanto ci contrapponiamo a certo squallido ceto dominante.

In altri paesi 'copiare' costa la carriera. 
Noi impariamo a copiare sin dalle elementari: mai puniti, né da insegnanti, né da genitori. 
Anzi: tutto sommato guardati con neppure tanto segreta ammirazione. 
Ed è così che 'piccoli furbi' crescono. E arrivano all'università. E proseguono.
Magari sono (o riescono pure ad apparire) intelligenti.
Magari la loro inconsapevolezza li fa ritenere addirittura in buona fede.
E magari fanno pure la morale agli altri.

*** Massimo Ferrario, Copia-e-Incolla, senza citare le fonti, per Mixtura


Sul tema del copiare, in Mixtura vedi
* "Copiare a scuola, l'inizio della corruzione" (Marcello Dei), qui 
* "Copiare le tesi" (Ugo Emanuele Moscato), qui

2 commenti:

  1. Dovremmo approfondire il tema della vergogna, che è un sentimento buono ed educativo...

    RispondiElimina
  2. Sono più che d'accordo, Stefano. E ne sono convinto da tempo.
    Noi la vergogna l'abbiamo archiviata da anni, insieme con il sentimento di colpa, credendoci così finalmente moderni e 'liberi'.
    Gli effetti si vedono.
    Non c'è bisogno di Davigo per dire che i ladri non si vergognano più. Se si vergognassero ancora, magari anche solo per rendere omaggio all'ipocrisia di un tempo, smetterebbero di rubare. Anche perché vigerebbe la sanzione sociale, che vale ancor più di quella penale.
    In proposito Vittorino Andreoli ha scritto pagine puntuali (che al momento non so rintracciare).
    Segnalo comunque sull'argomento specifico un libro (prezioso) di qualche anno fa: Gabriella Turnaturi, Vergogna. Metamorfosi di un'emozione, Feltrinelli, 2012, 187 pagine, anche ebook

    RispondiElimina