sabato 25 giugno 2016

#FAVOLE & RACCONTI / L'Eremita, il mantra, il Professore (M. Ferrario)

Finalmente era uscito. 
Era stata una faticaccia: oltre tre anni di lavoro e anche i momenti di vacanza centellinati, con l'ansia di non finire mai.
Ma ne era valsa la pena.
L'accoglienza, nel mondo accademico, era stata ottima e il successo di vendita tra gli appassionati si preannunciava garantito: ora sarebbero cominciati gli incontri in giro per il Paese, poi le traduzioni e il lancio nelle principali città europee e quindi - la soddisfazione maggiore - la diffusione perfino in Asia e in Giappone. 

Sì. Poteva dirsi appagato: oltre cinquecento pagine in cui aveva riversato tutto il suo sapere di grande esperto di filosofie orientali.
Lui, il Professore più riverito dall'accademia per la conoscenza minuziosa e profonda di ogni testo antico della sapienza orientale, poteva aggiungere un altro tassello fondamentale al suo curricolo di studioso: ormai era diventato una fonte imprescindibile per chiunque volesse avere l'esatta interpretazione di un documento anche millenario.
Certo, anche se questo era poco in linea con i testi sapienziali che compulsava quotidianamente e a cui si era votato pure per scelta di vita, vedersi citato continuamente come massima autorità nel campo inorgogliva il suo io: gli piaceva farsi riverire e ogni tanto, specie con i giovani che lo circondavano all'università, disposti a tutto pur di condividere almeno qualche brandello del suo immenso sapere, si lasciava andare a comportamenti che con la benevolenza e la compassione, principi base della saggezza antica, avevano senz'altro poco a che fare.

Alla signorina addetta al ricevimento dell'albergo aveva subito fatto capire che era un ospite da trattare con particolare riguardo: aveva comunicato i suoi gusti in fatto di cibo e orari, chiarendo che desiderava venissero scrupolosamente osservati. 
Disse che si attendeva una settimana di assoluto riposo, anche perché poi gli impegni già programmati non gli avrebbero lasciato in agenda neppure un piccolo spazio di tempo libero.
«Non so se arriverò vivo per la fine dell'anno», confessò, con una di quelle battute un po' vittimistiche con cui credeva di darsi importanza e con le quali comunque gli piaceva colpire l'interlocutore.

Il padrone dell'albergo era accorso, premuroso, per omaggiare il nuovo cliente e con curiosità si interrogava su chi fosse: il paesino era piccolo e per quanto il lago fosse grazioso, anche per le sue dimensioni raccolte e per la caratteristica dell'Isolotto situato proprio quasi al centro, non era meta frequente di turisti, lontano com'era dalla grandi vie di comunicazione e un po' sperduto in mezzo alle montagne.
Il Professore mostrò il biglietto da visita, che abbondava di titoli accademici, e aggiunse che aveva appena pubblicato un libro che senza dubbio avrebbe rappresentato una pietra miliare nella conoscenza delle filosofie orientali antiche. Specificò che, tra l'altro, in un capitolo costatogli mesi di lavoro e di incontri in ogni parte del mondo, aveva elencato tutti i principali maestri spirituali viventi e commentò che considerava questo censimento di sicuro il più completo fino a quel momento esistente.
Il titolare dell'hotel, dopo essersi complimentato con l'ospite, contento di poterlo inserire nella lista dei pochi personaggi di prestigio che avevano soggiornato nel suo locale, sorrise.
«Allora ho capito perché ha scelto di passare qualche giorno qui in paese. E, se mi permette, ha fatto bene stavolta a scegliere il mio albergo».
Il Professore pensò che l'uomo alludesse alla tranquillità del posto, sicuramente adatto per chi necessitava di un sano relax.
Annuì e uscì in perlustrazione.

Dopo aver girovagato per il paesino, si fermò in un grazioso bar che si affacciava sulla riva del lago. 
La mattina era fresca, anche per la leggera brezza che solleticava il viso, ma il sole scaldava: tornò in albergo deciso a indossare qualcosa di più leggero.
E poi, prima di pranzo, la solita pausa di meditazione, favorita dal mantra che da anni recitava.

Il padrone dell'hotel lo accolse all'ingresso della sala ristorante con cordialità, pronto a condurlo al suo tavolo, e a costo di apparire un po' invadente, gli chiese subito se aveva incontrato il Vecchio Pescatore e si era accordato per l'appuntamento.
Il Professore non capiva.
«Quale appuntamento, scusi?»
L'uomo arrossì: forse aveva commesso una gaffe.
Cercò di minimizzare, dicendo che probabilmente aveva sbagliato a parlare.
Ma il Professore, com'era logico a quel punto, insistette.

«Mi perdoni, Professore. Ero convinto che la ragione della sua visita qui in paese fosse appunto questa: incontrare il Vecchio Pescatore per poter rivedere, tramite lui, l'Eremita dell'Isolotto. Temo di essermi sbagliato. Sono proprio uno sciocco: mi sono impicciato di cose che non mi riguardano. Ma sa, lei mi aveva parlato del suo libro... e così io avevo pensato. Niente, dimentichi tutto. ».
Impossibile che il Professore si accontentasse di questa marcia indietro.
E l'uomo dovette spiegare.
«Dunque, non ha mai conosciuto l'Eremita dell'Isolotto?».
Il Professore, sempre più sorpreso, negò.
«Mai. Non so proprio a chi lei si riferisca».
«Quindi non ha avuto occasione di censirlo in quel capitolo del suo libro in cui parla dei maestri di spiritualità...?».
«Non mi risulta nessun Eremita dell'Isolotto. E, come le dicevo, la mia ricerca è stata assai approfondita: ho consultato tutte le fonti possibili e di questa persona non ho mai sentito parlare».
Il padrone dell'albergo invitò il Professore a lasciare la sala ristorante, ordinò al cameriere di attendere a far venire dalla cucina le pietanze già pronte e chiese al suo ospite di accomodarsi su un divanetto, nell'angolo appartato dell'hotel, lontano dalla vista degli altri commensali.
In pochi minuti gli confidò, come in gran segreto, tutto ciò che sapeva dell'Eremita. Soprattutto gli riferì quello che si raccontava da anni in paese, in particolare grazie al Vecchio Pescatore: l'unico che aveva avuto la fortuna di incontrarlo e che manteneva con lui qualche sporadico contatto alcune volte che usciva in barca sul lago.

Naturalmente, il Professore entrò in agitazione: a questo punto doveva assolutamente incontrare l'Eremita.
Al più presto.
Anzi, subito.
La voglia di mangiare era passata.
Ed era disposto a tutto pur di parlare con questa persona sfuggita alle sue meticolose ricerche: ne andava della sua autorevolezza. Se davvero questo eremita si fosse rivelato una figura importante, la sua assenza nel libro sarebbe stata imperdonabile.
Il padrone dell'hotel assicurò che sarebbe andato a cercare immediatamente il Vecchio Pescatore, perché si prodigasse per favorire un incontro; e intanto convinse il Professore a sedersi a tavola per gustare i piatti che aveva fatto cucinare con particolare cura proprio per lui.

Come l'Eremita dell'Isolotto, che aveva sempre rifiutato ogni visita, anche il Vecchio Pescatore abitava appartato, in una baracca alla periferia del paese. Mangiava i pesci che pescava e ogni tanto ne vendeva qualcuno per pagarsi il poco che gli era necessario per vivere.
Il padrone dell'albergo lo trovò che rammendava una rete da pesca, mentre si fumava, tutto beato e isolato dal mondo, un sigaro che mandava nuvole di fumo tutt'intorno. Lo supplicò di dargli una mano: gli raccontò del bisogno assoluto, per il suo ospite in albergo, di conoscere l'Eremita, magnificandogli la figura illustre del Professore. Gli promise che avrebbe comprato, almeno per il prossimo anno, tutto il suo pesce pescato, se avesse persuaso l'Eremita ad accettare un incontro.

A fatica il Vecchio Pescatore si lasciò convincere e, sempre a fatica, ottenne il sì dell'Eremita, quando il giorno seguente andò appositamente a trovarlo sull'Isolotto.
«Lo faccio per te, Vecchio. Ma sia chiaro: è la prima e ultima volta che mi porti qualcuno qui sull'Isolotto. Tu lo sai: io non sono così importante perché qualcuno mi conosca», gli disse l'Eremita con fare bonario.
C'era uno strano e misterioso legame tra loro due: da anni ormai si limitavano a intravvedersi, in lontananza, dal lago, eppure ambedue sentivano che la loro relazione aveva un'intensità particolare.

Trascorsero tre giorni e una mattina, poco dopo l'alba, il Professore salì in barca con il Vecchio Pescatore in direzione dell'Isolotto.
Nonostante ripetuti tentativi di affrontare il discorso, il Professore non riuscì a sapere nulla in anticipo della persona che avrebbe incontrato: l'uomo, seduto dietro il motore che borbottava con regolarità mentre la barca procedeva con una lentezza esasperante, guardava l'orizzonte e si limitava a rispondere, ogni volta, con un misterioso «Vedrà lei stesso». Solo all'ultimo, dopo aver subito l'ennesimo assalto perché svelasse qualcosa in più, proprio un attimo prima di attraccare, si lasciò andare ad un sintetico giudizio, lapidario: «E' un uomo santo».

All'arrivo sull'Isolotto, Vecchio Pescatore, dopo aver tirato a riva la barca, accompagnò il Professore a una cinquantina di metri all'interno.
Si fermò davanti a uno spiazzo antistante una grotta: non ebbe bisogno di chiamarlo, l'Eremita sentì i passi e uscì.
Il Vecchio Pescatore tornò alla barca: si accese un sigaro e aspettò.

Professore e Eremita si inchinarono, congiungendo le mani in preghiera.
Ambedue sembravano imbarazzati e fu difficile rompere il silenzio iniziale.
L'Eremita aveva un'età indefinibile: occhi vispi e lucenti; una barba, rigogliosa e fluente, gli arrivava a metà corpo; i capelli, neri come il carbone e lunghissimi, erano raccolti e avvolti con un laccio; indossava vecchi vestiti, in più punti ricuciti. 
Fuori dalla grotta, un piccolo orto: insalata, zucchine, patate, carote. In un angolo, lontano dalle piante, alcune di frutta, un braciere per il fuoco.
Tutto era comunque in perfetto ordine e l'estrema pulizia era il tratto che colpiva.

Il Professore ringraziò per la disponibilità. Quindi si presentò, sottolineando i suoi numerosi anni di studio nel campo della spiritualità, soprattutto orientale, e vantando gli incontri avuti con tante figure di rilievo che gli avevano testimoniato la loro esperienza di vita. Infine spiegò la ragione della sua visita: non citò il libro, che era stato di fatto la causa di questo colloquio, ma disse che era curioso di fare la sua conoscenza.

L'Eremita ascoltava, attento: era in soggezione nei confronti di una figura ritenuta tanto dotta. 
Quando parlò, la voce uscì bassa e velata, quasi impossibile da sentire, a causa di tutti gli anni che aveva trascorso senza mai dialogare con nessuno. Faceva fatica ad emettere il suono delle parole, ma, sforzandosi, cercò di riabituare la gola.
Ripeté che non aveva nulla di speciale da raccontare, men che meno da insegnare: tentava di vivere in armonia con il tutto, non altro. Conosceva a memoria alcuni testi sacri: da ragazzino, con fatica, ne aveva anche letto qualcuno, ma da anni ormai non possedeva libri ed era tornato ad essere praticamente analfabeta. Abbandonato dai genitori poco dopo la nascita, era stato allevato da un monaco buddista, che gli aveva insegnato a leggere e scrivere e lo aveva iniziato alla spiritualità. Poi, alla morte del monaco, aveva vagabondato per il mondo, fino a quando era capitato nel paesino sulle rive del lago. Qui aveva conosciuto il Pescatore, all'epoca giovanissimo: quando lo aveva portato in visita all'Isolotto, aveva deciso che avrebbe messo fine al suo girovagare per il mondo. 
«Ora, Professore, lei sa tutto quello che vuole sapere. Continuo a imparare a vivere e so che non mi basterà la vita. Cerco di 'essere'. In armonia con l'Essere che è tutto, provo a essere in pace con lo Spirito che anima il mondo. Anzi, che 'è' il mondo».

Il Professore chiese se, anche per favorire la meditazione, recitasse qualche mantra. 
L'Eremita confessò la sua ignoranza: ne conosceva uno solo, insegnatogli dal monaco che lo aveva allevato, quando era piccolissimo.
Sì, non avrebbe potuto farne a meno: durante la giornata lo ripeteva almeno due volte, all'alba e al tramonto. Commentò che gli dava, insieme, pace ed energia, serenità e vitalità.
«E' questo». E glielo pronunciò, premuroso e felice di poterglielo offrire. 
Il Professore si sorprese: impossibile, non lo conosceva.
Se lo fece ripetere.
Alla terza volta,  non riuscì a trattenere un sorriso. 
«Ah sì, certo. Lo conosco, ovviamente. Anche se non è tra i miei preferiti».
Fece una pausa: non resisteva.
« Solo che...».
L'Eremita lo guardava intensamente: davvero sembrava pendesse dalle sue labbra.
«Ecco, veramente non fa proprio così...».
Con un atteggiamento poco nascosto di condiscendente superiorità, gli corresse la pronuncia, precisandogli che l'origine di quel mantra, benché considerato in genere non particolarmente importante, era tra le più antiche e che solo lui era riuscito a ricostruire, con uno studio approfondito e comparato, dizione e accento esatti. 
L'Eremita non smetteva di ringraziare il Professore: cercò di ripetere la sillaba del mantra più volte, secondo l'insegnamento appena ricevuto, mettendoci tutta l'attenzione di cui era capace, come per imprimersi bene in mente il nuovo suono.

Si salutarono. 
Vecchio Pescatore attendeva appisolato, sdraiato accanto alla barca. 
Il Professore immaginava che subito gli avrebbe chiesto cosa pensasse dell'uomo che lui considerava santo. Invece non disse nulla: avviò il motore, si accese un sigaro e fissò lo sguardo alla riva verso cui erano diretti. 
Il Professore fu contento: non avrebbe dovuto mentire per educazione. 
Ed era sollevato: nessun problema per non aver inserito l'Eremita nel libro. 
Era soddisfatto di aver fatto la conoscenza di quella persona, ma gli era parsa, in fondo, una delle tante figure che decidono di vivere ai margini del mondo e che credono di essere in contatto con lo spirito dell'universo. Insomma, un povero analfabeta, che sicuramente non aveva nulla di significativo da dire in fatto di 'vera' spiritualità: ben altri erano i personaggi di rilievo che lui aveva incontrato, o direttamente o nelle sue infinite letture.

La barca aveva appena iniziato a muoversi ed era ancora a poche decine di metri dalla riva dell'Isolotto. 
Professore e Vecchio Pescatore, seduti con lo sguardo in direzione della costa verso cui stavano rientrando, sentirono una voce concitata alle loro spalle. 
Vecchio Pescatore si voltò e vide ciò che altre volte gli era accaduto di vedere, quando ancorava la barca nei pressi dell'Isolotto per pescare.
Spense subito il motore, congiunse le mani e in segno di rispetto si levò immediatamente il cappellaccio che teneva sempre in testa e si levava giusto la notte, per dormire.
Poi prese un remo e freneticamente cominciò a muoverlo nell'acqua per far arretrare la barca.

Era l'Eremita.
Stava camminando. A passi veloci.
Sull'acqua.
Avanzava verso di loro, agitando le braccia, e un'aura luminosa gli avvolgeva il capo.
Ora la voce era piena, forte, squillante.
Gridava. 
«Professore, professore, mi scusi, ma non ho più la memoria di quando ero ragazzino e ho già dimenticato il suono esatto del mantra. La prego, se me lo potesse ripetere....». 

*** Massimo Ferrario, L'Eremita, il mantra, il Professore, 2016, per Mixtura. - Rielaborazione originale di una storia nota, riportata anche in Margaret Parkin, Racconti per il cambiamento, con il titolo Il mantra, traduzione di Valentina Ricci, Etas Libri, 2014.


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