Nel mio sangue circola un arcipelago di popoli del Mediterraneo. Da un prelievo vorrei conoscerne i nomi, come un appello in classe dove i nominati dicessero: presente. E se ne risultasse qualcuno mancante, provvederei con una trasfusione a completare l’assemblea.
Pochi incroci sono avvenuti con feste di nozze, la gran parte attraverso emigrazioni, epidemie, deportazioni di schiavi, stupri di conquistatori.
Vengo da Napoli, una città fondata da stranieri, Greci.
Roma ha fra i suoi capostipiti un profugo da una città in fiamme, Enea da Troia.
Via mare sono sbarcati portatori di merci, arti, tecniche, sementi. Filosofi, astronomi, scrittori di teatro e di poemi, calcolatori in numeri arabi e in geometrie, architetti, musici, scultori, portatori di religioni e infine della loro ultima notizia, il monoteismo.
Appartengo al Mediterraneo che non è nord né sud, non è oriente e neanche occidente. È ventre liquido in comune ai tre più antichi continenti delle civiltà, Africa, Asia, Europa.
Una mattina arrivato sull’isola greca di Kos chiesi a chi mi ospita il nome dell’isola di fronte. “La più grande che abbiamo, arriva fino a Vladivostok e si chiama Asia”.
A metri zero sul livello del mare ho avuto la vertigine di stare davanti al più vasto dei continenti, apparso nella foschia del primo mattino. Arriva fino all’Oceano Pacifico.
Per questo incrocio di terre affacciate sul Mediterraneo sento la parentela stretta con ogni suo viaggiatore. La lingua latina lo ha chiamato Nostrum, il più affettuoso nome dato a un mare. È un Nostrum che non esclude gli altri e non segrega al suo interno.
È il nostro dell’ospitalità per il viandante, accolto perché la polvere dei suoi sandali, venuta da lontano, feconda il suolo in cui fa la sua sosta. Le sue storie ingrandiscono il repertorio dei racconti. La sua spezia condisce la scodella di chi l’invita all’ombra.
*** Erri DE LUCA, scrittore, poeta, Arcipelago, in 'Fondazione Erri De Luca', 28 febbraio 2017, qui
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