A torto o a ragione, molti percepiscono la globalizzazione come uno strumento della nostra «civiltà atea e materialistica» che, appunto attraverso l’espansione dei mercati, diventa sempre più ricca e più forte a scapito del loro mondo. Con una certa paranoia anche i musulmani più colti di questo paese vedono in ogni mossa dell’Occidente, compreso il conferimento del premio Nobel della letteratura a V.S. Naipaul, un attacco all’Islam.
Da qui la reazione difensiva e il ricorrere all’Islam come a un rifugio. La religione diventa l’arma ideologica contro la modernità, vista come occidentalizzazione. Per questo anche i moderati come i tablighi, senza voler essere jihadi, finiscono per simpatizzare con i talebani e con Osama, invece che con l’Occidente.
Questo è il problema che abbiamo dinanzi: un problema che non si risolve con le bombe, che non si risolve andando a giro per il mondo a rovesciare regimi che non ci piacciono per rimpiazzarli con vecchi re in esilio o coalizioni di convenienza messe assieme in qualche lontana capitale. Osama può anche venir stanato dall’Afghanistan; i talebani possono anche essere sgominati e ridotti a una forza annidata nelle montagne ad alimentare una nuova guerriglia, ma il problema di fondo resta. Le bombe non fanno che renderlo più virulento.
A noi può parere strano, ma c’è oggi nel mondo un crescente numero di persone che non aspira ad essere come noi, che non insegue i nostri sogni, che non ha le nostre aspettative e i nostri desideri. Un commerciante di tessuti di 60 anni, incontrato al raduno dei missionari tablighi, me lo ha detto con grande semplicità: «Non vogliamo vivere come voi, non vogliamo vedere la vostra televisione, i vostri film. Non vogliamo la vostra libertà. Vogliamo che la nostra società sia retta dalla sharya, la legge coranica, che la nostra economia non sia determinata dalla legge del profitto. Quando io alla fine di una giornata ho già venduto abbastanza per il mio fabbisogno, il prossimo cliente che viene da me lo mando a comprare dal mio vicino che ho visto non ha venduto nulla», mi ha detto. Mi son guardato attorno. E se tutta quella enorme massa di uomini – l’ultimo giorno si dice fossero un milione e mezzo – la pensasse davvero come lui?
*** Tiziano TERZANI, 1938-2004, giornalista e scrittore, Lettera da Quetta. Il talebano col computer, 14 novembre 2001, in Lettere contro la guerra, Longanesi, 2002.
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