(...) Il mio consiglio, ai lavoratori e a coloro che li assisteranno, è di non dare nulla per perduto. Valutiamo con attenzione che dietro al licenziamento non si nascondano forme di discriminazione, fortunatamente ancora tutelate dalla legge, o casi di divieto di licenziamento (non solo per gravidanza, ma anche se coincidente con il matrimonio).
Non rassegniamoci a considerare incontrastabile un licenziamento per motivi futili: a fronte di un atto palesemente nullo per violazione di norme imperative si potrà sempre richiedere al giudice di applicare i principi di diritto comune, in forza dei quali l’atto non può produrre effetti. Del resto un contratto di diritto civile può essere risolto solo per un inadempimento di non scarsa importanza; l’illegittima risoluzione dovrebbe sempre comportare il diritto a chiedere l’adempimento salvo, in alternativa, l’integrale risarcimento del danno. Non si vede perché al Giudice del lavoro debba essere sottratta la facoltà di valutare la gravità di un eventuale inadempimento (peraltro puntualmente normata dalla contrattazione collettiva) in essere dal lavoratore, né perché il risarcimento del danno debba essere sostituito da un modestissimo indennizzo.
In altri termini è ancora possibile cercare di trovare, tra le rovine dell’impianto originario, magari studiando i problemi da diversi e nuovi punti di vista, il materiale per ricostruire i diritti che restituiscano la dignità alle persone che verranno umiliate dalla privazione ingiustificata del loro lavoro.
*** Alberto PICCININI, giuslavorista, Area Pro-Labour, Jobs act e licenza di licenziare: quali rimedi?, blog 'ilfattoquotidiano.it', 11 novembre 2015
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