['Splendido' intervento di una italiana, ingegnere in Volkswagen, a Wolfsburg, che commenta e 'spiega' il caso Dieselgate.
Parole da meditare. A lungo.
E da non dimenticare.
E da non dimenticare.
Per manager e non solo. (mf)]
(segnalatomi anche da Stefano Pollini)
° ° °
Sehr geehrter Herr Müller,
Sono una ricercatrice del gruppo di ricerca VW e dal 2004 Ingegnere arruolata nella divisione Powertrain. In questi giorni di costernazione generale ho iniziato a scrivere questa storia, la mia storia. Dal momento che, come tecnico, riesco a comprendere solo in parte l’attuale costellazione politica ed economica e che mi dispiacerebbe terribilmente disturbare il corso ufficiale degli eventi, ho deciso di affidare a Lei questa storia. Lascio a Lei la scelta se leggerla, leggerla e cestinarla o pubblicarla. Io così ho assolto il mio dovere morale nei confronti della mia compagnia e di mia figlia e da oggi posso dormire meglio.
Da tre settimane non trovo pace
Io sono un’italiana del Sud con la sindrome da prima della classe. 60/60, 110 e lode, full strike, mi è sempre piaciuto studiare, essere brava. Ho fatto tutto da sola. Nel 2003, alle soglie della tesi di laurea sono entrata nello studio del Professore della Facoltà di Ingegneria dei Materiali di Lecce che più stimavo e gli ho chiesto: «Che cosa devo fare per essere la migliore?» La risposta ovvia: «Se vuoi diventare un buon ingegnere devi andare in Germania». Detto fatto, eccomi su un aereo per Hannover. Senza conoscere una parola di tedesco e senza avere la più pallida idea di dove sia esattamente Wolfsburg e soprattutto di quanto sia grande la Germania. Ok, la geografia non mi piaceva.
Sono atterrata ad Hannover l’8 marzo 2003. I tedeschi in t-shirt, io con il cappotto imbottito, la sciarpa e i guanti comprati 2 mesi prima dalla mamma che aveva pensato a tutto, anche al caffè. Ed eccomi qui. Tesi, dottorato, primi incarichi, prime Projektleitung, l’anno scorso Teamleitung.
Poi una battuta di arresto. Non mi sentivo più la prima della classe e mi sono arresa. Invece di insistere e di cercare di migliorarmi ho rinunciato ed ho abbandonato l’incarico. Non so se riuscirò mai a perdonarmelo. Adesso lavoro di meno ed ho più tempo per mia figlia che ha quattro anni e ho anche più tempo per pensare. E da tre settimane, come tutti qui a Wolfsburg e nel mondo, non posso fare altro che pensare a questa storiaccia e non riesco a trovare pace.
Io non sono a conoscenza di “informazioni da insider” da scoop e anche se le avessi, non potrei mai avere la certezza che sia andata veramente così, ma conosco bene tutte le persone che potrebbero essere coinvolte nello scandalo perché lavoro con loro da 10 anni fianco a fianco per migliorare i nostri motori e soprattutto so come ho lavorato io per più di 10 anni. Io stessa ho fatto di tutto per mandare in porto ogni contratto e progetto, indipendentemente dalla sua importanza, trovato un cavillo, fatto finta di non aver sentito ed ho passato diverse notti insonni per paura di essermi spinta troppo oltre. E oggi mi chiedo: «Perché lo hai fatto?» Più soldi? Forse. Carriera? Possibile. Corruzione? No di sicuro. Oggi posso dire con certezza: l’ho fatto perché volevo essere la migliore. Volevo essere lodata. Applaudita. Acclamata. Volevo essere la prima della classe.
I miei superiori e le «infrazioni aziendali»
I miei superiori sono delle brave persone. I miei superiori sono i “capi” che tutti i dipendenti vorrebbero avere e sono sicura che se uno di loro avesse saputo che per questo motivo rischiavo come minimo di morire di preoccupazione avrebbero detto: «Ema, dimmi un po’, ma sei scema?».
Ho letto un articolo del Frankfurter Allgemein - una delle poche cose intelligenti che mi sono capitate tra le mani negli ultimi giorni - dal titolo “Nützliche Kriminalität” e condivido gran parte delle opinioni esposte nel testo: certe “infrazioni aziendali” non vengono ordinate da nessuno, strisciano e si diffondono come virus, e a volte solo perché la maggior parte della gente vuole essere “brava”, lodata, adulata. L’ingegnere modello vuole costruire il motore perfetto che costi poco, a basso consumo, fantastiche performance ed emissioni zero, e visto che la fisica non si fa prendere in giro volentieri - e questo già da secoli - inventa la furbata del secolo. Lui è il primo della classe, il capo gli dà una pacca sulla spalla, se ha fortuna una promozione, l’azienda diventa costruttore dell’anno e tutti sono felici e contenti.
È andata così? Non lo so, ma a me sarebbe potuto succedere. Chi avrebbe potuto immaginare che da 10 righe di Software civetta sarebbe potuto scaturire un disastro di dimensioni mondiali? Io no. E chi lo spiega, a me, ingegnere, che la mia furbata non è legale? Perché detto tra noi: la storia dell’inquinamento è quella che si chiama una “urban legend”. Invito scienziati, analisti, statisti, a dimostrare scientificamente che qualcuno mai si sia ammalato di cancro in California perché tre Audi con motore Diesel sono passate giornalmente davanti al suo giardino, anche se più di 20 volte al giorno. Tra l’altro parliamo di emissioni di NOx che hanno poco a che fare con il particolato (il fumo nero) e che in realtà si comportano allo scarico in maniera quasi opposta (vale a dire, se aumento i NOx ci sono buone possibilità che diminuirò il particolato). Quindi io ingegnere, e non avvocato, conoscendo a fondo il tema inquinamento - molto meglio di certi politici che nelle ultime settimane hanno fatto sfoggio di tutta la loro ignoranza davanti al mondo - penso: «Ok, sto imbrogliando, ma non faccio male a nessuno». Chi non ha mai copiato un compito a scuola? Io ho copiato tante volte, ed ho fatto copiare, e fino ad ora nessuno mi ha mai accusato per questo motivo di associazione a delinquere. E chi ha spiegato a me, ingegnere, che questo Software non è legale? Perché la legalità non è ovvia. La legalità si spiega, s’impara e si aggiorna tutta una vita e alla fine c’è sempre qualcosa che non si sapeva. Chiedetelo agli avvocati in erba che si preparano per l’esame di Stato. Ed è qui che i Tedeschi, in questi giorni, mi hanno terribilmente deluso. Perché i Tedeschi la legalità la conoscono meglio degli altri. Come lo so? Il Kindergarten di mia figlia. Ok, tutto il mondo è paese, anche qui ti tirano i capelli e t’insegnano le parolacce ad una velocità impressionante, ma… Mia madre è un’insegnante elementare. Uno dei suoi primi incarichi da supplente trent’anni fa, quando io ero ancora una bambina, in una delle tante città di porto del Mediterraneo. Laggiù alcuni alunni scrivevano durante i compiti che “da grandi” volevano “diventare scafisti come lo zio e papà”. Naturalmente quei bambini non si riferivano al mestiere di tecnico addetto alla manutenzione degli scafi navali e/o aerei… Le maestre avevano il lavoro di una vita davanti agli occhi per spiegare a quei ragazzini che fare lo scafista non è un’ambizione lavorativa da coltivare. E come si spiega a un ragazzino che quello che vive tutti i giorni a casa sua non è legale? Che cosa vuol dire legale? Se io trasporto sigarette attraverso l’Adriatico e per strada do un passaggio a due albanesi ed ovviamente non pago le tasse perché non so veramente a che cosa possa servire, ed il mio papà manca da casa per giorni interi per guadagnare quei soldi e non va certo a regalarli in giro, perché non è legale? Mia figlia frequenta il Kindergarten comunale a Braunschweig ed io la osservo: lei ha un senso della legalità che i suoi coetanei italiani non manifestano, rispetta le regole, e quando d’estate in vacanza passeggiamo per le bellissime strade Italiane soleggiate, scuote la testolina e mi dice con il suo accento tedesco “mamma, non si butta la spazzatura per terra” ... “No tesoro non si butta... “.
La lezione della legalità
Ai bambini tedeschi s’insegna la legalità all’asilo e le loro strade saranno sempre pulite... Io ancora mi soffio il naso al volante e lancio i fazzoletti sporchi dal finestrino dell’auto in corsa… abitudine…. E chi insegna la legalità agli adulti? Beh oggi, grazie al Dieselgate, la legalità qui a Wolfsburg si respira attraverso la paura e la censura: anni e anni di lavoro passati a rendere i motori più puliti e più efficienti buttati al vento, nessuno parla, nessuno vuole aver avuto a che fare con questa brutta storia, nessuno dice quello che sa per paura di perdere il lavoro e di non poter più provvedere alla propria famiglia. Silenzio stampa. No comment. Allora, io questa paura la capisco e la condivido, questa paura è segno di responsabilità e il senso di responsabilità è l’assicurazione sulla vita dell’umanità. Ma se io, ingegnere VOLKSWAGEN, dicessi: «Mi dispiace. Era una truffa. I diretti interessati lo sapevano, ma non sapevamo di fare del male a nessuno, ci dispiace. Sì, era una truffa, ma una truffa senza conseguenze. E abbiamo lavorato senza sosta per migliorare i nostri prodotti e oggi non abbiamo più bisogno della furbata, e tutte le altre vetture che abbiamo venduto nel mondo sono pulite, e quelle non pulite le metteremo apposto, promesso. Perdonateci.». Lei mi licenzierebbe? Tu, mondo, mi linceresti? Perché io sono sicura che se il cervellone che dieci anni fa ha avuto questa brillante idea avesse saputo che a causa sua questa notte 600.000 famiglie, più altrettante famiglie di lavoratori dipendenti dal settore automobilistico avrebbero dormito male, perché hanno paura che l’anno prossimo sia diverso da questo, ci avrebbe pensato due volte. Non tutte le persone sono uguali. Non tutte le persone sono brava gente, ma io ne conosco tante. E la brava gente, a volte, vuole solo essere lodata ed è disposta per questo a copiare. Un mio ex-collega mi ha detto proprio l’anno scorso: «Ema, se ti mostri debole una volta sola ti tagliano fuori». Lo posso confermare. L’ho imparato sulla mia pelle. Qui in VOLKSWAGEN abbiamo disimparato negli ultimi anni a dire: «Non ce la faccio. Non posso. Mi dispiace». E questo è quello a cui penso io quando sento il termine «rivoluzione culturale», che Lei ci ha promesso. Questa è la rivoluzione culturale che mi auguro di cuore. Per la VOLKSWAGEN e per il futuro di mia figlia.
*** Emanuela MONTEFRANCESCO, ingegnere Volkswagen, lettera aperta al nuovo Ad di Volkswagen, «Se cerchi l’auto perfetta, fai la furbata. Poteva succedere pure a me» 'Corriere della Sera', 14 ottobre 2015, qui
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