domenica 2 agosto 2015

#SPILLI / Quelli di successo e i falliti (M. Ferrario)

(dal web, via linkedin)


Accade.
Quello disegnato nell'immagine qui sopra accade. 
Non sempre, ma accade.

Però:
(a) - Quanto alle persone di successo: ancora più spesso accade che se ne freghino delle altre. Magari pure aggiungendo godimento nel vedere battuto, quando non ridotto sul lastrico, chi non ha avuto successo. Anche perché, nella logica culturale di derivazione americana e ormai anche da noi imperante, il 'perdente' se l'è voluta. Se l'è cercata. E comunque colpa sua se non ce l'ha fatta.
(b) - E quanto ai falliti: dipende. Dal criterio con cui vengono giudicati (e loro stessi, alla fine, vengono indotti a giudicarsi).
Perché si può non essere di successo e non essere dei falliti. 
Anzi. A giudicare dai troppi considerati di successo (e da come troppi hanno raggiunto un certo successo), i veri vincenti (per usare il termine sempre in bocca alle persone cosiddette di successo), potrebbero essere i cosiddetti falliti. Così stigmatizzati, naturalmente e spregiativamente, dai vincenti.

E poi, la citazione suggerisce, implicitamente e sottilmente, una correlazione che mi appare pericolosa. 
Anche se piace molto a chi non ama che (ri)circolino, nella società e in politica, critiche tali da poter (ri)mettere in moto, pur solo vagamente, certi conflitti sociali di antica memoria. 
E questo proprio oggi in cui - si dice - non ci sono più classi. Benché non si faccia menzione del fatto che una classe, invece, è rimasta: una sola, ben cosciente di sé e impudentemente vittoriosa sull'altra (frammentata, dispersa e inconsapevole di sé). 
(A questo punto vi lascio due alternative: (1) indovinare voi stessi qual è questa classe vincente che sembra aver chiuso ogni lotta di classe; oppure (2) leggervi questa citazione di un imprenditore statunitense che se ne intende, di classi e di ricchezze, essendo uno tra i più ricchi del mondo: «La lotta di classe esiste da venti anni e la mia classe l'ha vinta. Noi siamo quelli che abbiamo ricevuto riduzioni fiscali in modo drammatico». (Warren Buffett, citato da Domenico Maceri, 'americaoggi', qui)

Ma qual è questa correlazione quasi subliminale evocata dalla immagine di apertura, anche stavolta generosamente offerta dal web?
L'invidia, naturalmente. 
Da anni l'invidia è come il prezzemolo: viene usata ad ogni piè sospinto per spiegare perché certa gente 'non sa stare al suo posto'. E chiede, e pretende. E brontola e 'gufa'. E non ama il prossimo, specie quando è ricco e potente, ma ne sogna ogni notte la distruzione.

Già, i falliti invidiano. Vogliono che tutti siano come loro: falliti.

Il meccanismo è noto e sempre più utilizzato: tutto viene riportato alla dimensione psicologistico-personal-individuale. 
E' l'invidia la causa di tutti i mali. 
Se sconfiggessimo l'invidia dentro di noi, non vorremmo il fallimento degli altri, ma staremmo finalmente sereni, guarderemmo gli altri e il mondo sorridenti, con il nostro 'pensiero positivo' perennemente stampato sulle labbra. 
E le ingiustizie e le disuguaglianze non ci toccherebbero. 
E ci sarebbe armonia e pace e amore per tutti. 
E vivremmo felici e contenti. 

Ecco, impariamo dalla citazione. 

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

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