lunedì 4 maggio 2015

#SPILLI / Pubblicità e dintorni: due apprendimenti (M. Ferrario)

Ho la conferma che, se dici la tua, qualcosa ottieni sempre.
Io ad esempio, avendo gentilmente chiesto se i colleghi di un network professionale trovassero giusto e utile che ormai la bacheca fosse invasa da uno spamming sfacciato e a go-go go, ho acquisito due apprendimenti. 
(a) - Il primo è che non frega nulla a nessuno. Diciamo che non è una sorpresa, ma avere la conferma di una convinzione che ormai ti sei fatto su come gira il mondo fa sempre piacere.
(b) - Il secondo è che ora la pubblicità non si chiama più pubblicità, ma «condividere opportunità sottoponendo idee, temi formativi e metodologie didattiche attive». Naturalmente me l'ha spiegato la società di consulenza che aveva inserito, in bacheca e non in uno spazio pubblicitario appositamente predisposto (e in quel caso, ovviamente, a pagamento), una scheda che decantava esplicitamente i prodotti e i servizi offerti, con tanto di logo e indirizzo email per i contatti. Ma, hanno precisato, non è pubblicità. E' un'opportunità. Verrebbe da commentare che se è un'opportunità, lo è certo per loro: perché non hanno sborsato un euro, occupando uno spazio previsto per pensieri, opinioni, scambi. Ma sarei venale. E il problema va oltre.

Perché torna in ballo il vecchio e tanto vituperato (da quasi tutti) politicamente corretto. Con una differenza. Se si dice non vedente al posto di cieco, si viene presi in giro e tacciati di inutile buonismo. Se invece si usa 'opportunità' al posto di 'pubblicità' (in passato l'espressione di Maurizio Costanzo era 'consigli per gli acquisti'), tutti tacciono e magari ti dicono pure che sei creativo. 

Nulla di nuovo. E' il business, e vince su tutto. Anche sulle persone.
E poi facciamoci un sorriso: la pubblicità fa parte della vita. Non saremo mica retrogradi. Vorremo mica fermare il progresso.

No, vorrei solo non essere invaso da queste 'opportunità'. E decidere io se lo sono o no. Senza dovermele obbligatoriamente sorbire. 
Vorrei solo essere sicuro che se sono in uno spazio in cui è previsto che non ci sia pubblicità, non c'è pubblicità. Neppure mascherata. Perché le regole sono lì anche per indurre attese conseguenti. E io mi attendo (ancora, nonostante tutto, in questo mondo e soprattutto in questa Italia) di non essere preso in giro. Magari pure da colleghi che appartengono al mio ambiente professionale e con cui non vorrei essere confuso.
O comunque, se accade, protesto. E anche se agli altri non gliene frega nulla, io non smetto di credere che non sia vero che è la pubblicità, (che) bellezza.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

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