E se non riuscite a lavorare con amore, ma solo con disgusto, è meglio per voi lasciarlo e, seduti alla porta del tempio, accettare l’elemosina di chi lavora con gioia.
Poiché se cuocete il pane con indifferenza, voi cuocete un pane amaro, che non potrà sfamare l’uomo del tutto.
E se spremete l’uva controvoglia, la vostra riluttanza distillerà veleno nel vino.
E anche se cantate come angeli, ma non amate il canto, rende¬rete l’uomo sordo alle voci del giorno e della notte.
E che cos’è lavorare con amore?
E’ tessere un abito con i fili del cuore, come se dovesse indossarlo il vostro amato.
*** Kahlil GIBRAN, 1883-1931, poeta, filosofo, pittore libanese, Il lavoro, da Il profeta (1923), Edizioni Se, Milano, 1985.
Anche in M. Ferrario, a cura di, Management e dintorni: pensieri per pensare, Dia-Logos, Milano, 1999.
Enfasi poetica un pó eccessiva, ma che ci sta, se si vuole celebrare il lavoro "per" amore (di sé stessi o della collettività), peró si presta facilmente a giustificare quella concezione "lavorocentrica" che qualche danno lo fa quando si lavora solo per amore del lavoro. Una volta si chiamavano workaholics.
RispondiEliminaPerfettamente d'accordo. Domani (l'avevo già previsto) inserirò uno 'spillo-spot' molto duro su certa retorica enfatica in tema di lavoro...
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