venerdì 24 aprile 2015

#LINK #RITAGLI / Resistenza, una cosa seria. Ma se avessero vinto loro? (Marina Valcarenghi, Angelo D'Orsi)

« Il nostro fu l'unico paese occupato dai nazisti a organizzare in un anno due scioperi generali accelerando il crollo del regime. Il primo dopo 18 anni cominciò il 5 marzo 1943 a Torino e si estese in tutta la Repubblica Sociale coinvolgendo più di 200.000 lavoratori; le agitazioni durarono nel loro insieme 40 giorni. (...)
Le fabbriche erano militarizzate e l'OVRA ci inseriva i suoi agenti; gli scioperi, sempre illegali durante il fascismo, con la guerra divennero crimini contro lo Stato e si finiva davanti al Tribunale Speciale, con il rischio della deportazione e della condanna a morte. (...)
Dal primo all'8 marzo 1944 la Repubblica Sociale fu paralizzata; 500.000 lavoratori coinvolti, fabbriche, servizi pubblici, linee ferroviarie e tranviarie bloccate. Ne parlarono e ne scrissero in tutto il mondo. A niente erano serviti i mezzi corazzati nazisti a presidiare le fabbriche, né licenziamenti e deportazioni, né la fame, né la spaventosa repressione e la morte di tanti esponenti della Resistenza e delle avanguardie operaie che quegli scioperi avevano organizzato. (...) »

*** Marina VALCARENGHI, psicoanalista, Quando resistevamo davvero, 'Il Fatto Quotidiano del Lunedì', 20 apriole 2015
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(...) Proprio discutendo con Renzo De Felice, Norberto Bobbio, nel 1995, aveva fatto un'osservazione decisiva. Un conto è il giudizio sulla moralità degli individui, altro conto è il giudizio sulla moralità delle cause per le quali gli individui combattono. Significa che non possiamo mettere sullo stesso piano la Repubblica di Salò e la Resistenza, perché la differenza consiste nei valori sulle quali l'una e l'altra si fondavano.
Bobbio concluse la sua argomentazione con una domanda: «Che cosa sarebbe successo se avessero vinto loro?». Questo interrogativo attende ancora una risposta.

*** Angelo D'ORSI, 1947, storico, docente di storia delle dottrine politiche, da E' la fine del 'rovescismo' alla Pansa, 'Il Fatto Quotidiano', 17 aprile 2015

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(...) Se avessero vinto loro, invece che i partigiani… Questo dobbiamo scolpire a lettere indelebili nella nostra mente e nel nostro cuore: come sarebbe andata se avessero vinto i nazifascisti. (...)
Ebbene, noi, non solo dobbiamo insistere sulla gratitudine a quanti allora fecero la scelta più dura, e si sacrificarono per il bene comune; oggi, noi dobbiamo, in senso più generale, vedere nel 25 Aprile un invito a lottare contro quel “peso morto della storia” che, per dirla con il giovane Antonio Gramsci, è l’indifferenza. In un articolo folgorante del febbraio 1917, Indifferenti, egli lanciava un grido di sfida: «Odio gli indifferenti. Credo … che vivere vuol dire essere partigiani». 
E chi più di coloro che – da operai, insegnanti, ferrovieri, postelegrafonici, tipografi, casalinghe, impiegati… – si trasformarono nella diffusa armata della Liberazione d’Italia, sono stati “partigiani” in questo senso? A loro dunque, con o senza il beneplacito del politico al potere, dobbiamo non soltanto rendere onore; dobbiamo soprattutto prenderli ad esempio. Ed essere pronti ad essere partigiani – nel significato che ciascuna epoca e situazione potrà determinare –, per combattere contro quel peso morto della storia che è l’indifferenza.

*** Angelo D'ORSI, 1947, storico, docente di storia delle dottrine politiche, da Un 25 aprile di lotta contro l'indifferenza, 'MicroMega on line', 25 aprile 2009, QUI


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