lunedì 20 aprile 2015

#CASI FORMATIVI / Il caso Roselli (Massimo Ferrario)

Il caso qui presentato è un 'classico'.
L'ho usato per anni in sede di formazione e si presta a discussioni ampie, problematiche e assai produttive in tema di organizzazione e di comportamenti organizzativi.
Ha una particolarità: può essere impiegato in due tempi. 
Al termine della prima parte, i partecipanti sono invitati a formulare una previsione sulla decisione che prenderà Roselli, il protagonista: non è richiesta nessuna analisi della vicenda, ma solo un'ipotesi 'secca' di comportamento che si suppone verrà deciso dal protagonista
Dopo la seconda parte, l'analisi e la discussione prenderanno in esame l'intera storia, anche seguendo gli spunti indicati in calce. (mf)


° ° °
Il caso Roselli  / 1^ parte
Fabrizio Roselli se ne stava seduto, tutto solo, nella sala riunioni del laboratorio. Gli altri se ne erano andati da un pezzo. Flavia, una delle segretarie, si era trattenuta qualche minuto per parlare del suo ragazzo, che era partito per il servizio militare, e poi aveva lasciato anch’essa il laboratorio.
Erano le sei di sera. Roselli stava assaporando la tranquillità dell’ambiente: nessun telefono che squillava, nessuno che interrompeva il lavoro con le richieste più strane e le urgenze più assurde.
Guardava i grafici e le tabelle aperte sul tavolo. Era soddisfatto. L’ingegner Franzoni, quando lo assunse, glielo aveva detto: «Se hai ingegno e ti sai dar da fare, qui da noi non avrai problemi. Potrai realizzare tutto quello che vorrai». E lui, infatti, ci si era buttato anima e corpo: e i risultati, adesso, si vedevano.
Era arrivato in CIRA, Centro Italiano di Ricerca Avanzata, due anni prima. Laureato in fisica, 110 e lode, 33 anni, si era subito fatto apprezzare dall’ingegner Franzoni, direttore della sezione Progetti Innovativi. Durante un esperimento di routine, aveva avuto l’idea del correlatore fotonico. Ne aveva parlato immediatamente con Franzoni e Franzoni ne era rimasto entusiasta: in pochissimo tempo, il progetto era stato approvato e a lui era stata assegnata la responsabilità della realizzazione del dispositivo.
Ora, dopo la riunione, poteva godersi il successo: le prime sperimentazioni avevano prodotto dati più che incoraggianti, il dispositivo si sarebbe potuto costruire e tutti si erano complimentati con lui.

Roselli stava riordinando i fogli sparsi sul tavolo, quando sentì entrare nella stanza, alle sue spalle, qualcuno. Pensò fosse l’ingegner Franzoni, col quale spesso si fermava in ufficio fino a tardi, per parlare delle varie attività di ricerca in atto. Ma non era lui. Anzi, non era neppure una persona che Roselli conosceva.

La persona si avvicinò a Roselli e si presentò.
«Buongiorno, sono Carlo Crociani. Lei è il dottor Roselli, vero?»
«Infatti», - rispose Roselli.
«L’ingegner Franzoni» - proseguì l’altro - «mi ha detto che avrei potuto trovarla qui dentro. Stavamo parlando del suo lavoro: sono molto interessato a quello che lei sta facendo. E così ho pensato di venirla a conoscere, per scambiare qualche parola sulle sue ricerche».

Roselli gli tese la mano e lo invitò a sedere. Non riusciva a inquadrare la persona che aveva di fronte: non un collega, non un cliente, non uno degli azionisti. Un conoscente dell’ingegner Franzoni, comunque.
La persona aveva gettato lo sguardo sui diagrammi aperti sul tavolo. 
«Sono i risultati preliminari di una prova che stiamo facendo», - commentò Roselli - «Abbiamo progettato un nuovo aggeggio e stiamo cercando di costruirlo. Abbiamo ancora un po’ di strada da compiere, ma siamo a buon punto.
Intanto, le posso mostrare la parte che stiamo sperimentando».
Crociani si era concentrato sui grafici. 
«Sembrano diagrammi di una superficie Jennings», - disse. «Mi è capitato di lavorare un po’ su queste cose. Vedo che lei conosce la materia».
Roselli non aveva alcuna idea di quello cui Crociani si riferiva, ma annuì. Aveva cominciato a sentirsi a disagio.
«Venga» - disse a Crociani. «Le faccio vedere cosa stiamo combinando, di là in laboratorio».

Erano da poco passate le sette, quando Crociani salutò Roselli e se ne andò. 
Roselli ripose le carte nella valigetta e chiuse l’ufficio. Continuava a provare una strana sensazione di fastidio. Percorse il corridoio sino alla porta di Franzoni, sperando di trovarlo alla scrivania.
Ma, evidentemente, se ne era già andato. Forse con Crociani, si trovò a pensare Roselli? Si infilò in ascensore, salutò il portiere e imboccò la solita tangenziale per casa.

L’indomani, era in ufficio molto presto. Appena vide arrivare Franzoni, lo raggiunse nella sua stanza. Gli disse che aveva conosciuto Crociani, che gli aveva fatto vedere cosa stavano facendo in laboratorio e gli chiese chi fosse.
Franzoni gli disse di sedersi un minuto.
«Cosa ne pensa di quella persona, Roselli?»
«Mah, non so, ingegnere» - rispose Roselli. «Mi sembra un tipo in gamba: intelligente, probabilmente molto competente».
Franzoni era visibilmente compiaciuto.
«Perché, ingegnere?» - domandò Roselli.
«Lo stiamo per assumere» - rispose Franzoni. «Ha una buona esperienza alle spalle e sembra avere delle ottime idee su diverse cose su cui noi stiamo lavorando. Credo sarà un ottimo acquisto. Il suo giudizio, fra l’altro, è un ulteriore elemento a favore. Inizierà a lavorare con noi il prossimo mese».

Roselli manifestò soddisfazione. In cuor suo, comunque, desiderò che non venisse messo a lavorare con il suo gruppo.
«Non so ancora dove esattamente si inserirà, alla fine - proseguì Franzoni. «Mi sembra però molto interessato a quello che lei sta facendo. Ho pensato che avrebbe potuto passare un po’ di tempo appunto con lei, tanto per cominciare. Che ne dice?».
Roselli annuì.
«Se poi il suo interesse dovesse aumentare, potrebbe aggregarlo definitivamente al suo gruppo di lavoro» - concluse Franzoni.
«Mi sembra abbia senz’altro delle buone idee. E dev’essere certo una persona preparata» - rispose Roselli. «Anche se non conosce esattamente la problematica specifica di quello che stiamo facendo. Comunque, sono contento se verrà da noi».

Roselli ritornò al laboratorio con sentimenti confusi.
Pensava che Crociani sarebbe stato di sicuro un’ottima risorsa per il CIRA. Si vedeva che aveva competenza e stoffa per crescere. E avrebbe certamente prodotto dei risultati. Si ricordò la frase di Franzoni, quando lo aveva assunto: «Qui, chi ha voglia di farsi avanti, può farlo: non gli mancherà il successo». Ora, quella frase gli stava sembrando un po’ minacciante.

Trascorse un mese. Poi, un pomeriggio di metà marzo, Crociani si ripresentò da Roselli. Spiegò che a mezzogiorno aveva avuto un lungo pranzo con Franzoni, per concordare il suo tipo di ingresso in laboratorio. «Sì», gli disse Roselli. «Anch’io ho parlato con l’ingegner Franzoni a proposito del suo inserimento. Pensavamo che per un po’ lei potrebbe lavorare con il mio gruppo».
Crociani sorrise. «Per me va bene» - disse.
Roselli presentò il neoassunto agli altri componenti del laboratorio. Crociani se la intese subito con Lolli, il matematico del gruppo, tanto che passarono insieme il pomeriggio discutendo di un metodo di analisi su cui il gruppo aveva litigato, con scarsi risultati, per una settimana intera.

Alle sei, Crociani era ancora in azienda. Come sempre, a parte Roselli, gli altri se ne erano andati.
Roselli buttò l’occhio nella sala riunione: Crociani era seduto al tavolo e aveva la testa immersa nella lettura. Si era fatto dare i rapporti dell’anno prima e li stava attentamente studiando. 
Roselli rientrò nella sua stanza e cercò di sbrigare un po’ di carte per l’amministrazione. Era teso e seccato. Che cosa pensava di trovarci, Crociani, dentro quei rapporti?
Verso le sette, Crociani si affacciò alla porta di Roselli.
Aveva un pacco di documenti sotto braccio. 
«Se lei non ha niente in contrario», - disse Crociani «me li porterei a casa: così, tra domani e domenica, gli do un’occhiata e mi faccio un’idea precisa di quello che state facendo in laboratorio.»
«Per me va benissimo», - rispose Roselli. «Ha trovato qualcosa di interessante?»
«Mi sembrano dei rapporti ottimi. Non solo per come sono fatti, ma soprattutto per quello che dicono. State facendo delle cose notevoli. Davvero» - disse Crociani.
Roselli si rinfrancò e sorrise. Forse, pensò, la presenza di Crociani poteva essere più positiva di quanto in un primo tempo aveva immaginato.

A casa, quella sera, si confidò con la moglie. Le descrisse il nuovo assunto: le manifestò le sue preoccupazioni iniziali e le parlò del suo stato d’animo attuale. Poi, per tutto il sabato e la domenica mattina, si dimenticò di Crociani.
Fu però appunto durante il pranzo della domenica che fu costretto a rituffarsi nei problemi di lavoro. 
Squillò il telefono e Crociani, dall’altra parte del filo, senza neppure scusarsi per la telefonata a casa e per l’orario, pretendeva di metterlo al corrente di una sua scoperta: nell’analizzare la documentazione sugli ultimi esperimenti, si era accorto che si sarebbe potuta avviare una nuova analisi, secondo un metodo particolarmente affidabile, che avrebbe risolto parecchi problemi sui quali il gruppo era impegnato.
Roselli cercò di essere cortese e rimandò il tutto all’indomani.

Infatti, lunedì mattina Roselli organizzò una riunione con Crociani e Lolli per affrontare la questione. Fu messa a punto una nuova procedura e quella parte degli esperimenti fu condotta secondo il metodo suggerito da Crociani.

Nei giorni seguenti, Crociani continuò a esaminare i rapporti di laboratorio degli ultimi sei mesi. Era chiuso nella sua stanza e scribacchiava appunti in continuazione.
Roselli era ansioso e, per di più, era ancora più irritato per il suo stato d’ansia: era sempre stato orgoglioso dei suoi risultati, e del resto che il gruppo avesse lavorato bene era stato riconosciuto da tutti; che cosa doveva temere adesso, per giunta dall’ultimo arrivato? Si diceva che era una sciocchezza, eppure aveva paura che Crociani potesse dimostrargli che tutta la linea della sua ricerca era sbagliata.

Mercoledì mattina, come d’abitudine nel gruppo di Roselli, si tenne la solita riunione di laboratorio, allargata al personale di staff. 
Roselli era convinto che era opportuno che a questa riunione partecipassero tutti, anche il personale non di ricerca; e ripeteva spesso che questo non rappresentava una perdita di tempo, perché consentiva di affrontare i problemi tecnici con il contributo, spesso creativo, anche di chi non era prigioniero di punti di vista disciplinari o di modelli specialistici consueti. E poi, Roselli ammetteva che si sarebbe sentito molto meno sicuro, se avesse dovuto dirigere il gruppo da solo. Con il sistema della riunione, poteva sempre giustificare il tempo speso per esplorare le ipotesi che poi si rivelavano dei vicoli ciechi con l’argomento della formazione per tutti.
Alla riunione era presente, naturalmente, anche Crociani.
Lolli gli sedeva vicino, e la loro conversazione sull’analisi matematica sembrava continuare dai giorni precedenti.

Ripensandoci al termine della riunione, Roselli non riuscì a spiegarsi la ragione della scelta, ma il tema che propose alla discussione, quella mattina, riguardava una questione che era stata già abbondantemente esaminata altre volte, senza però che mai si fosse giunti a una soluzione. 
Quando Roselli introdusse il problema, Spini osservò infatti subito che sarebbe stato inutile trattarlo ancora, visto che in laboratorio mancavano competenze e strumenti per affrontarlo.
Crociani era distratto e colse solo alcune parole dell’intervento di Spini, ma intervenne subito per avere spiegazioni. Quindi, si alzò per andare alla lavagna e sintetizzare i dati di base del problema. Ognuno ricordò gli elementi di difficoltà che erano stati messi in luce nelle precedenti riunioni e le ragioni per cui era stato deciso di accantonare la questione.
Fu immediatamente evidente che Crociani non era d’accordo con il punto di vista degli altri. Per lui, la faccenda non era poi tanto complicata e una soluzione si poteva trovare.
Iniziò quindi a esporre le sue ragioni e presentò, con argomenti inoppugnabili e molto logici, la sua ipotesi di soluzione. Spiegò anche che secondo lui la ragione del perché finora il problema non era stato risolto dipendeva dall’eccessivo amore per il modo di pensare e di discutere in gruppo: un metodo, disse ironicamente, che spesso porta a produrre un alto livello di mediocrità.

Roselli ascoltava e non poteva non ammirare la competenza e lo stile di ragionamento di Crociani. Osservò Lolli: aveva gli occhi rivolti a terra, si sentiva addosso gli sguardi di Spini e di Bucchi. Erano d’accordo con Crociani? Eppure, Crociani sbagliava. Il lavoro di gruppo, pensava Roselli, è fondamentale per fare ricerca: anche l’ingegner Franzoni lo aveva sempre sostenuto e infatti, in tutta la sua direzione, ne era un tenace assertore.
Crociani finì di parlare, dicendo che avrebbe voluto avere un po’ di tempo per studiare il problema per conto suo.
Insisteva che una soluzione si sarebbe potuta trovare e si diceva convinto che lui l’avrebbe trovata.
Roselli chiuse la seduta assicurando che le riunioni sarebbero continuate: del resto, commentò, il solo fatto che un problema che fino a ieri si considerava insolubile ora si considerasse affrontabile, grazie ad una discussione di gruppo, dimostrava la validità del metodo.
Crociani replicò che non era affatto contrario alle riunioni, se queste hanno lo scopo di informare il gruppo sullo stato di avanzamento dei lavori; ma che per sviluppare pensiero realmente creativo, la riunione serve a poco. «Ne sono profondamente convinto, e la mia esperienza, peraltro, me lo conferma: è soltanto la relazione stretta e personale che si instaura fra individuo e problema che fa scattare la soluzione creativa» - diceva.

Roselli terminò confessando che era molto contento che Crociani fosse intervenuto sulla questione e che aveva apprezzato le sue idee. «Sono sicuro che il gruppo approfitterà del contributo di stamattina» - aggiunse - «per riesaminare le ipotesi di base che erano state formulate sul problema. 
Concordo inoltre con Crociani sull’importanza assoluta dello sforzo individuale» - continuò. «Insisto tuttavia nel ritenere fondamentale il momento di lavoro di gruppo. E’ un modo insostituibile per creare spirito di squadra e amalgamare le competenze: chi ne sa di più può dare una mano a chi ne sa di meno; e chi ha più idee può stimola-re chi è più pigro a uscire dai suoi schemi abitudinari».

Le riunioni, quindi, continuarono. 
Crociani vi partecipava assiduamente, giocando un ruolo dominante. Interveniva su ogni argomento, portando la sua esperienza e i suoi punti di vista. Il gruppo lo ascoltava con interesse: riconosceva la sua indubbia competenza e la sua capacità logica di dimostrare le sue tesi.
Roselli non poté che prendere atto della sua professionalità: si era comunque reso conto che la sua leadership era stata intaccata. 
Ogni volta che veniva fatto il nome di Crociani con l’ingegner Franzoni, Roselli poteva soltanto riconoscere la sua bravura. 
Qualche volta si era detto che avrebbe dovuto parlargli del suo disagio, ma poi aveva sempre preferito evitare di farlo: gli pareva che questo fosse come ammettere una sua debolezza. E del resto, Crociani, nei numerosi contatti che aveva avuto con l’ingegner Franzoni, si era conquistato anche la sua stima. Che cosa avrebbe dovuto dirgli? Che Crociani era bravo: punto e basta.

Trascorsero almeno due mesi.
Le preoccupazioni di Roselli aumentarono. Il comportamento di Crociani cominciava a produrre effetti non del tutto positivi anche sul gruppo. Era aumentato il know how complessivo del laboratorio, però lo spirito di collaborazione non era più quello di prima. Sempre più spesso capitava che alcuni cercassero di non partecipare alle riunioni.
La stima di Crociani nei confronti degli altri era bassa: per lui si salvava solo Lolli. E non era un mistero per nessuno il suo giudizio un po’ sprezzante sui colleghi: era capitato spesso, durante una riunione o un colloquio a due, che Crociani fosse sbottato, tacciando di ignoranza l’interlocutore e dicendo che era inutile continuare a discutere con chi non era in grado di seguire neppure un ragionamento. La sua impazienza verso gli altri riguardava tutti: almeno in tre occasioni aveva manifestato irritazione persino con l’ingegner Franzoni. Roselli lo aveva intuito da una conversazione con lo stesso ingegner Franzoni, quando gli aveva chiesto dei rapporti fra Crociani e il gruppo e si era detto un po’ preoccupato per certe spigolosità di rapporto del nuovo assunto.

Roselli decise di parlare con Spini e Bucchi, che riteneva fossero i più colpiti dall’atteggiamento di Crociani, e verificò che erano effettivamente a disagio: gli confessarono che spesso non capivano le teorie di Crociani, ma che non osavano farsele spiegare, perché Crociani aveva una incredibile capacità di far sentire inferiore l’interlocutore. E poi, dicevano, se lui si sentiva un genio e voleva passare per tale, padronissimo di farlo.

Erano ormai passati sei mesi dall’arrivo di Crociani, quando fu programmata la solita riunione generale: si trattava di un incontro allargato fra tutti i capi progetto della Divisione Ricerca, diretto a fare il punto sulle attività in corso.
Roselli era in crisi. Avrebbe dovuto presentare le attività del suo gruppo ed era sicuro che Crociani, pur non essendo capo progetto, avrebbe voluto intervenire per dire la sua; tra l’altro, nell’illustrare l’avanzamento dei lavori, non poteva certo passare sotto silenzio il contributo di Crociani, fondamentale per modificare il taglio di alcune sperimentazioni; e certo, se Crociani fosse stato presente, avrebbe avuto buon gioco nel mettere in luce le insufficienze del lavoro che il gruppo, prima del suo arrivo, stava sviluppando.

Roselli decise di parlare della questione con l’ingegner Franzoni. 
Gli disse che Crociani avrebbe di sicuro gradito partecipare alla riunione, ma che un suo invito avrebbe probabilmente creato qualche problema nei confronti dei colleghi, che si sarebbero sentiti esclusi da un momento aziendale che tutti vivevano, da sempre, come molto importante e gratificante.
L’ingegner Franzoni sembrò minimizzare il problema, spiegando che tutti avrebbero capito la diversa posizione di Crociani nel gruppo.
Roselli non ribatté; disse anzi che in questo caso, gran parte della presentazione dei lavori della sua unità avrebbe dovuto farla proprio Crociani, visto il ruolo critico da lui avuto nella impostazione delle metodologie di sperimentazione. E aggiunse che questo sarebbe stato inoltre un modo equo di dare un riconoscimento pubblico all’apporto di Crociani, soddisfacendo così la sua ambizione e il suo orgoglio.
L’ingegner Franzoni concordò. E così fu deciso.

Alla riunione, la presentazione di Crociani fu un successo.
Al termine, Crociani fu attorniato dalla gran parte dei capi progetto, che si complimentavano con lui e gli chiedevano ulteriori informazioni sulle sue ipotesi teoriche e il suo modello empirico di approccio. 
Anche l’ingegner Franzoni gli espresse pubblicamente stima e apprezzamento. 
Roselli cercò di superare la sua stizza, si avvicinò a Crociani e con un sorriso apparentemente sincero gli strinse la mano calorosamente, congratulandosi con lui.

Sono passati due mesi.
Oggi, venerdì mattina, Roselli è chiuso nel suo ufficio.
Entro la mattinata deve prendere una decisione. In tasca, ha una lettera di offerta per un posto di capo progetto ai Laboratori Simmons. 
La posizione è equivalente alla sua attuale, il lavoro è abbastanza interessante, la retribuzione è un po’ più alta.
D’altro canto, riflette Roselli, il progetto in corso in CIRA è un bel progetto e lui ci ha investito tanto: tempo, cervello, energie, entusiasmo. Perché abbandonare, proprio adesso che il traguardo non sembra lontano e ci sarà presto da raccogliere un indubbio successo?

[Prima di leggere la 2^ parte, chiedetevi: 
cosa deciderà Roselli?]


Il caso Roselli  / 2^ parte
Roselli decise di accettare l’offerta dei Laboratori Simmons.

Scrisse una lettera per l’ingegner Franzoni in cui, molto brevemente, annunciava le dimissioni; e gliela lasciò sulla scrivania la sera, dopo che lui se ne fu andato a casa.
La lettera diceva molto semplicemente che lui aveva trovato una posizione migliore; che vi erano ragioni personali nella sua uscita (problemi vari di salute della moglie e di suo padre); che lui, se Franzoni lo desiderava, avrebbe potuto restare in contatto con il laboratorio, per aiutare, almeno inizialmente, la prosecuzione dei lavori di ricerca avviati; e, infine, che era certo che Crociani avrebbe diretto il gruppo con competenza e piena autorevolezza.

Franzoni dovette prendere atto della decisione, ma non riusciva a capirne le ragioni. Non credeva ai motivi di salute familiari ed era stupito per il modo con il quale Roselli gli aveva comunicato la scelta. Intuì che le ragioni dovevano essere nel rapporto con Crociani, ma se ne meravigliò: aveva sempre pensato che i rapporti fra i due funzionassero perfettamente.

Era anche notevolmente seccato perché proprio in quei giorni aveva in animo di comunicare agli interessati una decisione che ormai aveva preso, ma di cui temeva le reazioni da parte di Roselli: Crociani sarebbe dovuto divenire capo di un progetto speciale, molto critico e da ultimarsi in tempi rapidi, e Roselli avrebbe dovuto fare a meno di una risorsa del peso di Crociani. Sapeva dell’aiuto che Crociani prestava a Roselli e del resto era a conoscenza del-la stima che Roselli, in più occasioni, aveva manifestato a Crociani.
Per questo, era pronto a concedere a Roselli una nuova risorsa: non un giovane ricercatore alle prime armi, ma una persona preparata e motivata, che era riuscito a «strappare» ad uno dei capi progetto della Divisione.

Franzoni non fece alcun tentativo per contattare Roselli e Roselli non si fece vivo.
Crociani fu sorpreso dalla notizia delle dimissioni di Roselli, e così alcuni del suo gruppo.

Con l’uscita di Roselli, Franzoni rimise in discussione il suo piano e chiese a Crociani se desiderasse la posizione di Roselli, anziché quella di capo del nuovo progetto speciale.
Ma Crociani rifiutò.
Il laboratorio Fotoni ebbe un duro colpo. La sua direzione venne affidata provvisoriamente a Lolli, in attesa che si individuasse un nuovo capo.

° ° °

Alcuni spunti di riflessione
(1) - L’epilogo del caso: a) Le dimissioni di Roselli avrebbero potuto essere evitate? b) Se sì, come?
(2) - Roselli: a) Qual era l’immagine che Roselli aveva di se stesso? b) Qual era l’immagine che Roselli aveva di Franzoni e Crociani? c) Mettiamoci nei panni di Roselli: in che modo Roselli avrebbe potuto comportarsi diversamente senza essere troppo diverso da quello che era? d) Se fossimo stati nella posizione di Roselli, avremmo gestito il problema in un modo diverso? E se sì, come? e) In definitiva, come valutiamo Roselli?
(3) - Franzoni: a) Come valutiamo il comportamento di Franzoni? b) Se ci fosse chiesta una consulenza, quali suggerimenti gli daremmo per il futuro?
(4) - Crociani: a) Come valutiamo il comportamento di Crociani? b) Se ci fosse chiesta una consulenza, quali suggerimenti gli daremmo per il futuro? c) In che modo un’organizzazione può gestire persone come lui?

*** Massimo FERRARIO 1996-2015 (c)  - Caso adattato da A. Bavelas, Bob Knowlton, University of Victoria, in D. Fisher, Communication in Organizations, West Publishing Company, 1981. Materiale utilizzato in aule di formazione per manager e professional come stimolo per la discussione. Riproducibile citando autore e fonti.

Nessun commento:

Posta un commento