La questione più aspra era nel fatto che quei saperi restavano «materie»: anche nell'agire dell'insegnante. Difatti quei maestri tenevano lezione rigidamente (e naturalmente...) l'uno separato dall'altro. Mai tenevano una lezione comune; quasi mai si incontravano per discutere e delucidare - insieme con gli alunni - un punto chiave della riflessione educativa. O anche per vagliare o prospettare insieme, e con gli alunni, una controversia interpretativa, un progetto di ricerca. Insomma non stimolavano mai un 'cercare collettivo'.
Eppure la gara dell'apprendere esercitava su di me una lusinga: con l'astuzia della domanda, ci metteva per qualche momento sul palcoscenico; ci chiamava a sortire da noi, ad assumere la responsabilità di un dire 'pubblico'. Ma questo esigeva un dubitare, e che il maestro avesse lui un dubbio, e anch'egli chiedesse, cercasse una risposta, se mai per verificarla con gli allievi. E in quella scuola quasi mai, o mai, era cosi.
*** Pietro INGRAO, 1915, dirigente politico, scrittore e poeta, Volevo la luna, Einaudi, Torino, 2006
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